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Articolo di Franco Santellocco

Piccoli passi concreti verso le riforme, il riconoscimento dei titoli di studio conseguiti all'estero

 

Un documentario ha di recente presentato alcune delle più belle città del mondo e delle più imponenti opere realizzate, dighe, ponti, strade, gallerie.
C'è da chiedersi quanti ingegneri e tecnici di origine o addirittura di passaporto italiano abbiano contribuito alla loro ideazione e realizzazione.
C'è da chiedersi, poi, quanti di loro potrebbero contribuire ad analoghe creazioni nel nostro Paese.
Il timore è che la risposta sia: nessuno.
Alla base c'è un problema irrisolto, ed è quello del riconoscimento dei titoli di studio conseguiti da cittadini italiani all'estero nei Paesi di accoglienza, siano essi delle scuole secondarie che degli istituti universitari.
Non vi é alcun dubbio che alcune professioni richiedano una più spiccata caratterizzazione nazionale, dovunque siano richieste conoscenze specifiche di normative, leggi, consuetudini, pensando, a titolo di esempio, all'esercizio di tutte le funzioni legate all'avvocatura. Ma un grattacielo, una diga, un ponte che restano in piedi sfidando anni, intemperie, terremoti, trombe d'aria sono sicuramente stati ideati e costruiti seguendo procedure di studio ben definite tecnicamente, dettate dai capitolati di appalto ed esse non si differenziano sostanzialmente da Paese a Paese.
Un ingegnere, dunque, sembrerebbe in grado di svolgere la sua professione ovunque nel mondo e l'esempio potrebbe essere calzante per un medico, un biologo, un matematico, in genere per la maggior parte delle professioni di derivazione scientifica. La realtà è invece ben diversa: il riconoscimento dei titoli scolastici è una battaglia lunga, difficile, tocca sensibilità, prestigio, interessi, privilegi, autonomia degli istituti universitari e delle scuole superiori.
E' un tema talmente delicato che non ha ancora trovato una soluzione automatica fra le Università del nostro Paese. Infatti un recente decreto governativo, già approvato dal Senato ed in discussione alla Camera, che prevede la possibilità di far valere automaticamente i crediti universitari (leggi esami) acquisiti da uno studente presso una Università in qualsiasi altra della Penisola, ha fatto saltare sulle loro poltrone i Rettori delle Università più titolate. Essi perderebbero infatti l'autorità ed il prestigio derivanti dalla baronia universitaria e temono che i più furbi o i più ricchi fra gli studenti possano effettuare una sorta di shopping di crediti (esami) fra gli Istituti universitari meno accreditati da far valere poi presso Università dal titolo prestigioso.
Immaginare che questa mentalità avvicini alla soluzione il problema del riconoscimento di un titolo acquisito, per esempio, presso l'Università di Buenos Aires o Rio de Janeiro è davvero difficile. Eppure questa riforma non richiede altro che buona volontà, almeno per iniziare.
Sedersi intorno ad un tavolo, esaminare nel dettaglio i piani di studio, la formazione dei docenti, equiparare verso l'alto, non come nel 68, il livello dei risultati, premiare concretamente i più meritevoli, prevedere scambi di insegnanti e studenti: si richiede in definitiva di affrontare il problema con una visione aperta, di trasformare un atteggiamento conservatore e favorevole all'arroccamento delle baronie universitarie a difesa dell'immobilismo che, quasi per caso, è pienamente sostenuto dal parlamentare diessino Walter Tocci, in disponibilità ad accogliere esperienze diverse in uno sforzo teso ad individuare le possibilità di arricchimento intellettuale e scientifico, senza discriminazioni e diffidenza.
Ecco un altro dei piccoli passi concreti capaci di attivare riforme e di mutare atteggiamento nei confronti degli Italiani all'estero, un impegno che i prossimi Rappresentanti parlamentari dovranno assumere, a qualsiasi schieramento essi appartengano.