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Articolo di Franco Santellocco

Associazionismo e partiti politici


In vista delle elezioni legislative previste nella prossima primavera sembra iniziata una contesa tutta interna al mondo della emigrazione tesa a fornire una risposta ad una domanda latente da tempo.

Chi ha le credenziali più idonee a rappresentare le comunità all'estero?

Il candidato ideale è nella mente di tutti: saggio, onesto, informato, conosciuto, intelligente e chi più ne ha più ne metta. Le elezioni però non sono utopia applicata alla realtà, ma un fatto concreto, molto concreto, i cui risultati possono incidere sugli interessi degli elettori. E dunque è necessario scegliere candidati idonei a rappresentare le comunità fra persone che hanno alle spalle esperienza culturale, professionale, pubblica, adeguatamente informati sulle vicende politiche nazionali.

Il dibattito in corso, con toni anche aspri e in taluni casi decisamente sopra le righe, verte sull'ambiente in cui tali personaggi debbono essere ricercati: mondo dell'associazionismo o rappresentanze all'estero riconducibili ai partiti politici nazionali.

La soluzione ideale sarebbe una comune appartenenza ad entrambi: ma come si è detto poc'anzi la politica non appartiene all'utopia e spesso i due ambiti non si sovrappongono. 

Le comunità, nel fare le scelte, devono fare una attenta analisi dei comportamenti e trarne le conseguenze.

Nel lontano 1946 gli italiani tornavano al voto, esteso per la prima volta anche alle donne. Un grande evento, ma già allora vi erano i sintomi della condanna che avrebbe poi perseguitato i connazionali all'estero. Erano infatti esclusi tutti coloro che per lavoro o per vicende legate ai fatti bellici non erano rientrati in Patria.

Si trattava della prima esperienza elettorale dopo un durissimo conflitto ed appariva irrealistico ricercare l'impeccabilità. 
In seguito però la legge elettorale fu scritta dai partiti che reggevano le sorti pubbliche e di nuovo il problema del voto degli italiani all'estero fu accantonato nella sostanza. E lo fu per cinquant'anni! Questa è una prima constatazione di cui va preso atto.

Non sfugge a nessuno che l'esercizio del voto non è soltanto espressione di fermento democratico, ma è partecipazione attiva, informazione, conoscenza, integrazione nella vita politica nazionale.
I partiti hanno forse assolto in maniera positiva a questa funzione di collegamento fra comunità all'estero e comunità nazionale? Con l'esclusione forse di alcune comunità residenti in Paesi europei prossimi alla frontiera è davvero difficile dare una risposta positiva a questa domanda. 
Ed è una seconda constatazione di cui va preso atto.

Chi ha mantenuto in loro vece i collegamenti con l'Italia, con la Regione, con il Comune di origine? Sono state le associazioni di ogni tipo, che hanno salvaguardato legami culturali, linguistici, religiosi, che hanno consentito ai connazionali di non perdere identità, tradizioni ed in qualche misura informazione. 
Ed è una terza constatazione di cui va preso atto.

Dove scegliere quindi il candidato maggiormente idoneo a rappresentare gli interessi delle comunità? Fra chi se ne è sempre occupato, per cinquanta lunghi anni, in solitudine, nell'indifferenza o fra personaggi pilotati e paracadutati più o meno di recente dalle segreterie dei partiti?
Sono domande cui le comunità devono trovare una risposta. 
Essere a favore dell'associazionismo non significa in alcun modo essere contro il sistema dei partiti, laboratori di idee e di fermento democratico; si ha invece l'impressione che questi ultimi si pongano contro il movimento associativo. 

Essere a favore dell'associazionismo significa soltanto preferire candidati svincolati dall'obbedienza alle segreterie perché intimamente legati alle comunità da cui provengono. E' lapalissiano che la loro preparazione sulle vicende politiche deve essere pari a quella della media dei rappresentanti, con una specializzazione aggiuntiva, la conoscenza ed il mandato pieno delle comunità all'estero, cui solo dovranno rispondere.

Chi garantisce infatti i connazionali che i paracadutati delle segreterie partitiche sapranno farsi ascoltare da orecchie che sono state sorde per 50 lunghi anni? Chi li garantisce che gli appartenenti agli apparati non cercheranno una nicchia in cui ritagliarsi una collocazione, ossequienti alle direttive del partito, dimentichi di chi li ha eletti?

Pensar male è peccato, ma spesso si colpisce nel segno. 

E' opportuno che gli italiani all'estero diffidino, almeno per la prima volta, di chi per tanto tempo li ha trascurati e concentrino la loro attenzione su quei personaggi che sono stati loro vicino durante il lungo periodo dell'oblio.

E' possibile che i partiti nazionali siano contrari a proposte di legge razionali, concrete, sorrette da motivazioni serie soltanto perché chi le propone non è irreggimentato, non è uomo di apparato? Sembrerebbe strano ed eventualmente non sarebbe che un ulteriore tradimento nei confronti degli italiani all'estero. 

Già lo è il solo ventilare una tale minaccia. 
Ed è la quarta constatazione.

Il mondo dell'emigrazione, con la conquista del voto, è destinato a diventare, come mai nel passato, parte integrante della politica estera nazionale. 

Il peso specifico dei rappresentanti degli italiani all'estero può essere esercitato compiutamente in occasione di visite istituzionale fuori dai confini nazionali da parte di rappresentanti di Governo ed opposizione: i comportamenti saranno ovviamente calibrati sull'attenzione rivolta al soddisfacimento di aspettative legittime e razionali dei connazionali. 

In tali occasioni l'influenza che potranno esercitare anche nei confronti delle autorità politiche dei Paesi di accoglienza sarà tanto più significativa se essi non appartengono al sistema dei partiti e non debbono soggiacere alle imposizioni delle segreterie politiche ed al gioco di opposte fazioni, ma soltanto all'interesse delle comunità che rappresentano.

Solo se liberi da condizionamenti ed autonomi essi saranno forti. 

Ed è l'ultima constatazione.