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Articolo di Franco Santellocco

Sudan: il cuore nero dell'Africa  


C’è un Paese africano che più di ogni altro simboleggia il dramma in cui si dibatte un intero Continente. Parliamo ovviamente del Sudan, e della tragedia che sta colpendo senza pietà la regione del Darfur che, grande quanto l’intera Francia, rischia di trasformarsi nell’enorme, sanguinoso teatro del più grave genocidio di tutti i tempi.
Dopo oltre vent’anni di guerra civile, che danno a questo conflitto un triste primato in termini di morti e crimini contro l’umanità, non sembra che la situazione sia stata in alcun modo alleviata dai recenti accordi conclusi tra le parti in causa, anzi. Dal 2003 le milizie arabe del governo di Karthoum hanno avviato un vero e proprio programma di pulizia etnica nel Darfur, sterminando le minoranze religiose che da sempre popolano questa regione.
Lenta ed inadeguata, come purtroppo spesso accade, è l’azione umanitaria occidentale nei confronti di questa terra martoriata, e della sua popolazione ormai allo stremo.
Per troppo tempo, un’imperdonabile cortina di silenzio ha permesso ai carnefici di agire totalmente indisturbati su popoli indifesi, su donne e bambini, colpevoli soltanto del loro credo. Quando alla fine la drammatica forza dei fatti ha imposto l’esplosione mediatica sul “caso” del Darfur, il costo in vite umane era già di proporzioni bibliche.
Quanto ancora l’Africa dovrà soffrire per scuotere una volta per tutte la sostanziale indifferenza del ricco Occidente ? 
Gli stessi responsabili delle Organizzazioni Internazionali ed umanitarie sono stati costretti ad ammettere che, nel caso del Sudan, qualcosa non ha funzionato. Le risorse economiche assegnate all’emergenza del Darfur sono giunte tardivamente e, quel che è peggio, in larga parte sperperate per la carenza assoluta di una gestione razionale ed oculata.
Se fosse la prima volta che ciò accade, nonostante il dovuto biasimo (quando si parla di vite umane, nessuno sbaglio può essere contemplabile), potremmo quasi giustificarlo con il vecchio argomento delle difficoltà contingenti e della delicatezza della situazione.
Ma quante volte abbiamo visto ripetersi problemi analoghi ed interventi inutili e “schizofrenici”, in un’Africa che sta morendo e non ha più il tempo per permettersi il lusso dell’inefficienza, sia pure in buona fede ?
Sembra quasi che si tratti di una caratteristica congenita di una certa cooperazione, che deve trovare la forza, senza ulteriori tentennamenti, di rifondare se stessa su basi radicalmente nuove.
Perché errare è umano, ma perseverare è diabolico.
Anche nel caso del Sudan, mentre l’apporto dei professionisti dell’aiuto umanitario è stato prima nullo e poi caotico, nel tentativo coraggioso di tamponare la situazione la parte del leone è stata fatta da una società civile laboriosa ed umile, che per prima e nell’assordante silenzio generale, come “voce di uno che grida nel deserto”, ha con forza denunciato la tragedia che si stava consumando ed ha cercato, ancor prima di parlare, di agire.
Ci viene in mente in primo luogo l’opera instancabile dei tanti ordini religiosi che in prima linea, senza chiedere nulla in cambio e spesso a costo della vita, dedicano all’Africa ed alle sue sofferenze l’impegno insostituibile di un’intera esistenza. Tra essi, basti ricordare a puro titolo esemplificativo l’opera incessante dei Padri Bianchi, veri angeli per il Continente africano, ed i Camilliani, che continuano con coraggio a richiamare l’attenzione sul dramma del Sudan in tutti i suoi tragici aspetti.
Insieme ad essi, un intero mondo di volontariato silenzioso continua ad operare nell’ombra, senza cercare nemmeno quel plauso che pur meriterebbe.
Parliamo del Rotary International e dei suoi progetti in Africa: di formazione professionale, di creazione di aree irrigue nel Sahara, di eradicazione della poliomielite.
Parliamo delle comunità italiane in Africa che, nelle loro molteplici forme associative, danno il loro attivo contributo allo sviluppo del continente che le ospita in ogni campo della vita comune.
Parliamo di finanza etica. Parliamo di cooperazione “allargata”.
Parliamo, in una parola e come sempre, di “Continente Solidale”: un’idea ambiziosa che è un punto di arrivo a cui già mirano, nelle loro opere e con la forza dei fatti, tanti uomini di buona volontà. 
Ad essi dovrebbero ispirarsi tutti quegli organismi che, in maniera istituzionale, si occupano di Sudan, di Africa, di cooperazione.
Ad essi dovrebbe volgere gli occhi, all’unisono, un Occidente che invece resta cieco ed immobile di fronte al consumarsi della più immane tragedia del nostro tempo.