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Articolo di Franco Santellocco

Riforma dell'ONU: speranze e timori  

 

Il piano di ristrutturazione dell'ONU è finalmente cosa fatta, e sta per essere presentato ai Governi di tutti gli Stati membri. Adesso, bisognerà passare alla fase ben più delicata dell'implementazione.
Nessun dubbio sulla necessità di un cambiamento di rotta: le ultime, tragiche vicende internazionali hanno mostrato in maniera cristallina l'impotenza e l'inefficienza di un'ONU oppressa dalla sua stessa mole, schiacciata dalla sua propria burocrazia, ed incapace di riflettere, con un Consiglio di Sicurezza cristallizzato nella sua formazione, i mutati equilibri di potere globali.
L'addensarsi delle nubi di una crisi di portata internazionale è stata fronteggiata da un'Organizzazione delle Nazioni Unite immobile, che sembra trascinarsi per forza d'inerzia. Una situazione cui i più attenti osservatori hanno prestato attenzione non solo con occhio critico, ma con crescente timore, memori di un' analoga crisi che nel secolo scorso colpì quell'antenata diretta dell'ONU che era la Società delle Nazioni, e che sfociò nella Seconda Guerra Mondiale.
Urge la creazione di una "nuova ONU", dunque. Su questo, nessun dubbio.
Ma sulle modalità concrete di attuazione della riforma, le idee, provenienti dal le fonti più diverse e spesso tra loro incompatibili, non sono mancate.
Una sintesi di questo calderone di proposte doveva essere compiuta dalla Commissione di 16 "saggi" incaricata un anno fa da Kofi Annan di cambiare le Nazioni Unite. Oggi, quella Commissione ha finalmente terminato il proprio lavoro, sottoponendo il Rapporto al vaglio degli Stati membri.
Ad un primo bilancio, spiccano alcuni punti di notevole impatto, che fanno ben sperare. Ma d'altro canto, non mancano anche imperfezioni che ripropongono tristemente il modus operandi di questa ONU che si vorrebbe cambiare in meglio.
Di certo, non sono nuovi i "tempi tecnici" che la Commissione ha impiegato prima di "partorire" un risultato concreto. Un anno di lavoro per un Rapporto, pur importante, è un lusso che forse non ci saremmo dovuti permettere. È l'ulteriore conferma di un'inefficienza patologica che spinge le Nazioni Unite ad esse re sempre, in maniera quasi scientifica, un passo indietro rispetto all'evolversi del mondo.
Anche le 101 Raccomandazioni contenute nel Rapporto ci fanno ricordare, con una certa apprensione, le tonnellate di documenti che l'ONU ha prodotto in qua si sessant'anni di attività. Un'attività che sfortunatamente è stata quasi intera mente assorbita dall'impegno gravoso della stampa di simili quantità bibliche di carta, piuttosto che da interventi concreti ed efficaci volti a fronteggiare i "mo menti caldi" che non sono mai mancati, in tutto il mondo, dal '45 ad oggi.
Nonostante queste premesse non molto incoraggianti, il Rapporto presenta di versi punti di forza nell'ambito dell'ampio progetto di riforma.
Prima nota di merito: è previsto ed accolto il concetto di "guerra preventiva", la cui legittimità è sottoposta all'approvazione del Consiglio di Sicurezza. È una circostanza di straordinaria importanza, che trasforma un concetto introdotto e spalleggiato, tra mille polemiche, dall'Amministrazione Bush in un principio di Diritto Internazionale universalmente accolto, posto sotto l'ombrello del Consiglio di Sicurezza, che ne garantirà la legittima applicazione pratica.
Si tratta di una fondamentale estensione di quell'idea di "legittima difesa collettiva", già presente nella Carta delle Nazioni Unite, che era ormai smussata ed incapace di fronteggiare la nuova, terribile minaccia del terrorismo internazionale. Con questa proposta, si mette a disposizione degli Stati un formidabile strumento per difendersi da una minaccia vile e strisciante, contro cui le armi tradizionali si sono rivelate inefficaci e verso cui gli interventi compiuti "a posteriori" si rivelano spesso tragicamente tardivi.
Novità forse ancor più importante: viene finalmente fornita una definizione di "terrorismo". Vista l'attuale situazione, non si poteva più tardare nel dare contorni ben definiti ad un simile concetto, per evitarne estensioni indebite ed opportunistiche e tenerlo ben distinto dalla legittima lotta, riconosciuta dallo stesso Trattato istitutivo dell'ONU, per la salvaguardia dell'autodeterminazione dei popoli.
Si tratta di importanti passi avanti che mostrano come, nonostante le inevitabili difficoltà che si riscontrano nel tentare con ambizione di ristrutturare un meccanismo rimasto immutato per sessant'anni, sia l'evoluzione stessa delle cose a riportare un equilibrio, se soltanto si avesse la saggezza di assecondarla e di non opporsi ottusamente al congenito mutamento portato dallo scorrere del tempo.
Certo, restano diverse, importanti questioni da risolvere, prima fra tutte la nuova composizione del Consiglio di Sicurezza. Su questo punto, che è anche il più importante, si registra uno scontro di proporzioni mondiali e potenzialmente distruttivo dell'intero meccanismo.
Più di ogni altra cosa, dispiace vedere come ogni Stato si preoccupi esclusiva mente di ottenere un seggio permanente, piuttosto che del bene comune. Il dibattito sul Consiglio di Sicurezza ci mostra un mondo terribilmente diviso. La Cina si oppone al Giappone, il Pakistan all'India, i Paesi Arabi reclamano un seggio, gli Stati Uniti non trovano accordo con l'Unione Europea.
Quest'ultima a sua volta, invece di presentarsi in unità d'intenti, è dilaniata da gli egoismi nazionali che le impediscono di reclamare con forza un seggio unico per l'intera Unione, come giustamente proposto dall'Italia. 
Intanto, nella regione Sudanese del Darfour i bambini continuano a morire. La guerra civile in Somalia continua ad infuriare dopo 14 anni. L'Iraq è sempre più instabile. L'eterna diatriba tra India e Pakistan è sempre sull'orlo della tragedia.
Si tratta di una situazione esplosiva, che postula un Consiglio di Sicurezza rappresentativo degli equilibri di potere mondiale, capace di fronteggiare le gravi minacce che offuscano il futuro di questo terzo millennio.
E' un compito difficile, che richiede prima di tutto che gli Stati si sappiano spogliare dei loro egoismi, per perseguire finalmente quell'interesse comune di pace e stabilità che rappresenta anche l'interesse dei singoli.
In una situazione così delicata e cruciale, certo non aiuta lo scandalo di corruzione esploso relativamente al programma Oil for food, portato avanti dall'ONU in Iraq, e che sta infangando l'immagine dello stesso Kofi Annan. L'attenzione degli Stati rischia di venire monopolizzata da quest'ennesimo, duro colpo alla credibilità dell'intero sistema delle Nazioni Unite, e dalla conseguente polarizzazione che si sta già inevitabilmente creando tra sostenitori e detrattori del Segretario Generale. 
Se quest'ultimo ha veramente a cuore il futuro delle Nazioni Unite, non potrà che pervenire ad un'unica soluzione: dimissioni, immediate ed irrevocabili.
Perché gran parte del mondo continua ad essere una polveriera. E dopo sessant'anni di vita, l'ONU dovrebbe aver imparato almeno un principio basilare: scandali e burocrazia costano vite umane.