La Comunità Europea sta attualmente vivendo una stagione molto entusiasmante della propria vita. Il processo di integrazione, seppure lentamente e con alcune importanti voci di dissenso, sta proseguendo non solo a livello economico ma anche a quello sociale, prova ne sia, l’adozione da parte dei paesi membri di una serie di misure tendenti ad uniformare i trattamenti dei lavoratori dipendenti oppure l’adozione di misure uniformi di antinquinamento che recepiscono l’urgenza di tentare di risolvere il problema dei rifiuti che la nostra società opulenta continua a "produrre" con spensieratezza.
Da poco la Comunità si e allargata a 25 Paesi formando il blocco economico più importante nel mondo in termini di prodotto interno lordo (PIL) anche se la Cina e l’India ci sovrastano in termini di abitanti e gli Stati Uniti in termini di PIL per abitante.
Siamo quindi una potenza economica mondiale ma siamo anche un insieme di paesi con storie, culture e lingue differenti che necessita di un collante che lo aggreghi più intimamente stemperando le differenze ed esaltando i principi comuni.
Ecco quindi la necessità di costruirsi una Carta Costituzionale che definisca in maniera inequivocabile i doveri ed i diritti di tutti i cittadini europei.
E` bene notare che ci sono forti voci che dissentono da questa impostazione, soprattutto nei paesi nordici, che preferirebbero un processo più lento di integrazione e che si accontenterebbero di formare, almeno per il momento, solo un blocco economico.
Personalmente penso non ci siano alternative all’adozione di una costituzione che cristallizzi i nostri principi e le nostre aspettative di paesi democratici tenendo anche conto del fatto che la maggior parte dei nuovi e futuri membri è stata asservita per anni alla dittatura comunista.
Ma quale Europa vogliamo costruire? A quale modello di sviluppo vogliamo uniformarci?
Vorrei qui notare che nell’ultimo decennio gli Stati Uniti, la Cina, i paesi sud asiatici, escluso il Giappone e in parte l’India hanno avuto uno sviluppo economico molto più alto del nostro europeo. E’ stato, quindi, il nostro un sottosviluppo che abbiamo pagato in termini di disoccupazione soprattutto dei giovani e con importanti delocalizzazioni produttive verso paesi più competitivi.
Stiamo, quindi, diventando sempre più consumatori e sempre meno produttori di ricchezza.
La domanda da porsi è dunque se il nostro modello sia oggi sostenibile ed esportabile nei paesi nuovi membri o se per caso non sia giunto il tempo di cambiare riscrivendo le regole, cioe` la Costituzione, in maniera diversa?
Vorrei qui brevemente ricordare tre modelli di sviluppo che hanno respiro mondiale.
- Il nostro Modello europeo tradizionale che si basa su principi di uguaglianza nella ridistribuzione della ricchezza e che persegue un elevato supporto sociale attraverso un largo numero di diritti che includono per esempio la salute, l’educazione, il lavoro e le pensioni. E` un modello che persegue un alto livello di sicurezze e che riduce i rischi di precariato attraverso una maggiore eguaglianza economica e sociale
- Il Modello americano che privilegia la generazione di ricchezza ad ogni costo attraverso una continua crescita, competizione, nuove produzioni ed investimenti. E` un modello che si riinventa e si riadatta soprattutto durante i periodi di crisi, che privilegia la ricerca e nuovi campi di crescita economica ( per esempio le biotecnologie le telecomunicazioni, la conquista dello spazio ecc.). E` un modello con un modesto livello di ammortizzatori sociali a cui supplisce con un `estrema flessibilità della forza lavoro e della società nel suo insieme e con una continua generazione di ricchezza. Chi non e` o non può essere parte del gioco vive però con precarietà e le differenze tra le varie classi sociali si acuiscono.
- Il Modello asiatico si basa su una offerta di mano d’opera quasi illimitata e a basso costo, gli ammortizzatori sociali sono scarsi o non esistono; la popolazione supplisce, però, alla loro mancanza con un livello di risparmio molto elevato. L’economia si basa su scarsi consumi interni e una forte spinta all’esportazione supportata da continui investimenti stranieri. La ricchezza viene ridistribuita attraverso l’offerta di lavoro nell’industria che paga sicuramente più dell’agricoltura. Si intravedono inizi di una politica sociale. La precarietà, che esiste ancora in larga parte, è attutita nell’ambito familiare
Al momento gli ultimi due modelli sembrano vincenti in termini di generazione di ricchezza e di fonti di impiego. Ma come europeo, preferisco ancora il nostro modello che affonda le sue radici nell’Umanesimo medioevale e, direi, anche nella dottrina sociale della Chiesa che rispettano l’Uomo e le sue esigenze. Per essere vincente ci si deve però adattare alle nuove circostanze. Parafrasando Darwin che dice che non sono ne le specie più forti ne quelle più intelligenti che progrediscono e si affermano, ma sono quelle che più si adattano ai mutamenti ambientali oserei raccomandare di inserire nella nuova Costituzione Europea un qualche diritto in meno e un qualche dovere in più.
Posso, per finire, tentare molto brevemente qualche suggerimento per un nuovo modello Europeo : e cioè un modello che tenga conto della inevitabile integrazione dell’industria ( portatrice di sicurezza per il lavoratore) con i servizi sia commerciali che finanziari (molto deregolati e quindi insicuri per definizione); che accetti una vocazione dell’Europa al multilateralismo, all’affermazione delle leggi internazionali e alla prevenzione dei conflitti.
Un’Europa però che non dimentichi le proprie multiformi culture la propria storia e le proprie tradizioni locali.
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