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Articolo di Franco Santellocco

Rapporto della Banca Mondiale: i motivi alla base del freno agli investimenti nei Paesi del Terzo Mondo



E’ di questi giorni il rapporto della Banca Mondiale facente stato sullo stato, tutt’altro che roseo, degli investimenti diretti nei Paesi del Terzo Mondo.

Con esso è lanciato l’ennesimo, ben poco inaspettato allarme sulla situazione dei Paesi in via di sviluppo, e soprattutto di un’Africa che tende a scivolare sempre più nel baratro della miseria.

Il sunto del messaggio è chiaro: i Paesi poveri devono lottare per alleggerire la burocrazia che pesa sulle Società e sulle Aziende, altrimenti la loro crescita resterà gravemente pregiudicata.

Il danno provocato dal quadro legale e sociale di questi Paesi, rimasti indietro rispetto ad un Occidente che corre, migliorando di giorno in giorno il “clima di investimento” con riforme sempre più radicali e che nemmeno si sogna di fermarsi ad aspettare e tanto meno ad aiutare in termini sostanziali e radicali i suoi fratelli caduti che non riescono a rialzarsi, è inimmaginabile.

In Africa, per un imprenditore è due volte più difficile avviare, far operare o chiudere un’azienda rispetto a quanto avviene in un Paese economicamente avanzato. Come se ciò non bastasse, i Paesi poveri, rispetto all’Occidente, offrono appena la metà delle garanzie in materia di diritti di proprietà privata.

Nonostante ciò, i Paesi africani sono ultimi nella classifica delle riforme strutturali: una situazione grottesca se pensiamo che sarebbero proprio loro ad averne più bisogno !

I dati resi noti dal Rapporto della Banca Mondiale non lasciano dubbi: mentre in un Paese occidentale sono in media necessari 6 adempimenti burocratici, l’8% del reddito pro capite e 27 giorni per la creazione di un’azienda, in un Paese in via di sviluppo lo stesso risultato “costa”, mediamente, 11 adempimenti burocratici, il 122% del reddito pro capite e 59 giorni. 

Allo stesso modo, in numerosi Paesi occidentali gli investitori potenziali possono disporre di un accesso diretto ai dati finanziari ed alle informazioni relative ai principali azionisti delle Società presenti sul pubblico mercato. All’opposto, gli investitori nella maggior parte dei Paesi in via di sviluppo non hanno alcun accesso a simili informazioni.

In questa situazione, come possiamo anche solo immaginare un incremento degli investimenti in Africa ? Non c’è meccanismo di promozione che tenga: fino a quando non si riesce a cambiare in maniera rilevante la situazione nazionale dei Paesi potenzialmente destinatari, è totalmente inutile cercare di agire sugli investitori.

E questa situazione va a penalizzare, oltre agli stessi investitori lì presenti, gli stessi Paesi in via di sviluppo, che non di rado beneficiano di un grande dinamismo nell’imprenditoria privata, non solo nell’impiantistica manifatturiera, ma anche nella grande impiantistica (chimica, farmaceutica, agro-alimentare, ecc.) come avviene in Algeria o ancora (nel campo elettrico, elettronico) in Marocco. 

E’ una risorsa importante, che genera e ridistribuisce ricchezza, ma che purtroppo non può esprimersi al pieno delle proprie potenzialità a causa di un quadro legale e burocratico che la ostacola, anche involontariamente, sotto ogni punto di vista.

Ad uno sguardo superficiale, si potrebbe ribattere che l’unico modo per aiutare l’Africa può essere soltanto quello di cercare di invogliare i nostri investitori ad andare lì piuttosto che in luoghi quattro volte più sicuri, perché la situazione interna non dipende da noi, è un problema di governo che può essere affrontato soltanto dagli africani.

Inutile sottolineare il semplicismo e, temo, l’ipocrisia di discorsi di questo genere. Non possiamo pretendere che un Continente sull’orlo dell’abisso risolva da solo i suoi problemi.

Anche perché, non possiamo dimenticarlo, c’è una larga parte di responsabilità dei Paesi occidentali nella tragedia che sta lentamente, inesorabilmente affondando l’Africa.

Insieme a questa responsabilità, c’è dunque il dovere morale di fare qualcosa di veramente incisivo ed efficace. Perché il tempo sta per scadere e deve finire l’epoca dei discorsi programmatici e delle pacche sulla spalla. E’ tempo di agire.

Ed agire non vuole dire soltanto spendere enormi somme di denaro per mettere a tacere la nostra coscienza, significa impegnarci a fondo in iniziative che lascino il segno.

In primo luogo, c’è assoluta necessità di una cooperazione attiva per sensibilizzare i Governi dei Paesi africani a quelle riforme strutturali assolutamente necessarie per un rilancio dell’economia nell’intero Continente. E sensibilizzare non significa soltanto dire cosa fare, significa dire anche in che modo farlo, in quali tempi, con quali priorità. In una parola, significa impegnarsi veramente per fornire tutti i mezzi necessari a questi Paesi per attivarsi in un settore di cui essi non sanno ancora nulla, o nella migliore delle ipotesi sanno ben poco.

Soltanto in questo modo si potrà ottenere quel cambiamento così fortemente auspicato dalla Banca Mondiale. Insieme ad esso, si potrà finalmente avere un rilancio degli investimenti in Africa ed una crescita vera dell’economia di questo Continente piegato da una situazione ormai ai limiti.

E’ un obiettivo importante ed ambizioso, che si inserisce appieno nel quadro della realizzazione di un vero “Continente Solidale”: un unico mondo, esteso da Europa ad Africa ed unito da quel ponte naturale che è il mar Mediterraneo. 

E’ questo il sogno che resta nel cuore e nella mente e per cui si battono, giorno dopo giorno, tanti uomini di buona volontà.