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Riflessione di Franco Santellocco sui lavori del Comitato di Presidenza del CGIE

Ritorno al passato?

 

È appena terminata la seconda riunione del CdP e sembra che quasi nulla sia cambiato rispetto al passato.
A leggere il resoconto della breve conferenza stampa si ha l'impressione che ci si sia pianti addosso e, visti i tempi che corrono, la circostanza non suscita né meraviglia né sorpresa.
Quello che invece solleva stupore è il tono di scontro che sembra volersi instaurare con alcune istituzioni di riferimento, Ambasciate, Consolati, Ice, che "la farebbero da padrone", invece di ricercare con serenità le possibilità di convergenza e svilupparle con le risorse, modeste, disponibili. 
I periodi di vacche magre sono sempre esistiti e i Governi, di qualsiasi colore, da sempre li affrontano con provvedimenti di tagli ai finanziamenti ed economie, ritenuti generalmente ingiusti da chi ne subisce le conseguenze. 
L'apologo di Menenio Agrippa andrebbe forse richiamato alla mente con maggiore frequenza. 
Assumere in questa situazione, obiettivamente difficile, il ruolo rivendicativo di un sindacato appare solamente sterile e senza alcuno sbocco.
È pur vero che il CGIE deve essere autonomo nella sua azione, che tuttavia, per essere efficace, deve soprattutto elaborare proposte credibili e realizzabili a beneficio delle comunità italiane all'estero, nell'ambito del proprio mandato, all'interno delle risorse rese disponibili. 
Indicare obiettivi, suggerire priorità, sviluppare progetti, in definitiva, essere palestra di idee, forum in cui convergono, sono esaminate, sintetizzate, canalizzate le esigenze più diverse delle comunità italiane sparse nel mondo dovrebbe essere l'ambizioso traguardo di una Istituzione rappresentativa quale il CGIE.
Il CdP é il consesso in cui si realizza la sintesi di tale attività: esso assegna mandati, studi, indagini. Non ha importanza quando essi potranno essere realizzati, non si sta preparando la base elettorale di qualche candidato, si sta cercando di porre le premesse perché quel "Sistema" Italia, evocato nella conferenza stampa, abbia possibilità di vedere la luce ed essere pronto a svilupparsi quando le condizioni economiche e politiche del Paese lo consentiranno. 
Evocarlo adesso, dopo sessant'anni di oblio ed esigere che esso venga realizzato in due o tre anni, perché si è in vista di elezioni politiche, appare ridicolo ed intellettualmente disonesto. 
Ma più grave ancora è il dubbio che dietro questo piangersi addosso si nasconda il desiderio di giustificare la incapacità di sviluppare idee e progetti, di confrontarsi, di preparare con pazienza il terreno in attesa di un futuro più prospero. 
Giorgio Mauro ha inoltre di recente posto con estrema chiarezza un problema che non può essere ulteriormente rinviato (presenza ai lavori del CdP dei Presidenti delle Commissioni Tematiche) se il CdP non vorrà correre il rischio di essere una struttura autoreferente, inadeguata a dare profondità ed operatività alla sua azione perché non riesce a ricevere dalle Commissioni tematiche in tempi rapidi la sintesi del lavoro sviluppato e travasare loro le informazioni più recenti ricevute dalle varie fonti sullo stato dell'arte dei temi e delle azioni che le Commissioni stesse stanno esaminando e sviluppando, in definitiva se non vorrà rinunciare ad un ruolo di guida ed indirizzo, capace di proporre iniziative in tempi rapidi e di mantenere lo sviluppo dei progetti nell'alveo della programmazione approvata. 
Nell'ordine del giorno dell'ultimo CdP ad esempio appariva una richiesta di audizione del Sottosegretario al Ministero del Lavoro on. Viespoli per avere un aggiornamento sullo stato di avanzamento dell'Avviso 2004 "Interventi per la formazione degli Italiani residenti in Paesi non appartenenti all'Unione Europea", ma il Presidente della V Commissione non è stato invitato ad assistere all'audizione (poco importa se poi il Sottosegretario non ha dato seguiti), così come non lo è stato il Presidente della II Commissione per la relazione del Ministro Benedetti relativa alla situazione della ratifica delle convenzioni bilaterali su temi delicati quali lavoro e pensioni.
Non sembra essere questo il tempo per lamentarsi, quanto quello per lavorare seriamente insieme, in un confronto di idee sereno e costruttivo, capace di produrre non lamentele ma soluzioni praticabili nell'attuale situazione e idonee ad essere ulteriormente sviluppate secondo programmazioni e priorità già individuate. 
Le comunità italiane nel mondo si attendono iniziative, non pianti dai loro rappresentanti: hanno imparato a piangere da sole. È dovere di tutti ricordarlo.