Non diciamo una novità nell’affermare che il sistema fiscale italiano è afflitto da disfunzioni di ogni genere ed incongruenze più o meno gravi. Questa non può tuttavia essere una scusa per non tornare al problema che colpisce gli Italiani residenti all’estero: l’imposizione fiscale sui redditi prodotti in Italia.
Cittadini che sono e si sentono Italiani, e che da sempre esportano nel mondo intero quel modello di vita e di valori che ha reso il "made in Italy" un vero e proprio marchio di affidabilità e qualità.
Una risorsa riconosciuta anche ai più alti livelli istituzionali. E non si tratta di vuota retorica. Anche nel DPEF 2005-2008 ritroviamo il positivo e prezioso coinvolgimento degli imprenditori italiani nel mondo per potenziare e rilanciare l’economia italiana. Si tratta, nelle parole del Ministro per gli Italiani nel mondo On. Tremaglia, del più alto riconoscimento allo sforzo sostenuto per la creazione della Confederazione degli Imprenditori Italiani nel mondo, per il potenziamento del "Sistema Paese" e per l’attribuzione all’ "Altra Italia" di un fondamentale segno di stima.
Nonostante questo, il problema che stiamo affrontando è una lampante dimostrazione del fatto che nel nostro Paese il giusto riconoscimento per il lavoro di queste persone fa grande fatica ad emergere. Tuttora infatti, il ns. sistema fiscale prevede la tassazione anche di soggetti "non residenti" che conseguano redditi in Italia. E’ un sistema improntato a criteri di territorialità, che considera tassabili tutti i redditi prodotti all’interno del Paese a prescindere dalla residenza dei relativi soggetti.
In linea teorica, la motivazione è comprensibile, ma ciò non toglie che esso crea distorsioni che vanno corrette. E questo perché ormai, nella maggior parte dei Paesi industrializzati, è applicato un principio di tassazione generalizzata dei residenti che pertanto, quando un reddito è prodotto in Italia, rischiano concretamente una doppia imposizione sullo stesso cespite, che verrà tassato in entrambi i Paesi (in mancanza beninteso di Convenzioni bilaterali).
Questo problema, già di per sé rilevante e bisognoso di una soluzione, viene aggravato dalla considerazione che i soggetti maggiormente penalizzati sono proprio i nostri connazionali all’estero. E’ evidente infatti che proprio loro, in ragione dei sempre forti legami con le loro radici ed a prescindere da considerazioni economiche, saranno portati a mantenere almeno parte delle loro attività in Italia, come segno di un contatto mai spento. Sottoporli ad imposizione fiscale, con il già detto rischio di pagare due volte, significa tassare quel legame che essi si impegnano a mantenere, pur tra mille difficoltà. E’ una deformazione imperdonabile del nostro sistema, meccanicistico e burocratizzato, che va denunciata con fermezza.
Anche perché, mentre lo stesso problema è risolto, per quanto riguarda i residenti, con un sistema generale di esenzione totale del reddito che si dimostri già sottoposto ad imposte estere, non si capisce perché mai lo stesso principio non venga applicato nella situazione opposta dei non residenti, la cui tutela è invece lasciata ad eventuali e comunque settoriali Trattati bilaterali contro le doppie imposizioni piuttosto che ad un sistema organico e generale.
E’ un sistema ingiusto, che penalizza una categoria di cittadini nonostante l’enorme ricchezza complessiva che il loro lavoro rappresenta per il bilancio dello Stato. Basti pensare al mantenimento, da parte di numerosi Italiani residenti all’estero, di una casa sul territorio nazionale. Mantenimento che spesso rappresenta soltanto un costo aggiuntivo, ma sostenuto volentieri per conservare un segno del contatto ancora vivo con il proprio Paese e con le proprie origini, anche attraverso spese di manutenzione e più in generale di gestione che finiscono per essere una fonte di lavoro e ricchezza per il territorio.
A fronte di un simile impegno, che cosa fa lo Stato? Ai residenti all’estero non vengono concesse nemmeno esenzioni o sconti sul pagamento delle tasse sui rifiuti solidi urbani, il cui peso andrebbe commisurato alla produzione effettiva di rifiuti da parte degli abitanti : peraltro tutti i Comuni sono perfettamente consci dei residenti all’estero stante l’Anagrafe speciale (AIRE).
Sembrano piccoli problemi, ma sono sintomo di una generale mancanza di attenzione ingiusta e penalizzante, perché la loro sommatoria può fortemente pesare. Va notato come talune Regioni riservino un apposito capitolo di spesa per incentivazioni sulla ristrutturazione di case dei cittadini non residenti : un dato incoraggiante apparentemente, nella sostanza pochi centesimi ridotti ad un imbarazzante pro forma. Ancora: per un colpo di genio dell’allora Ministro della Salute Rosy Bindi, l’assistenza medica sul territorio nazionale per i non residenti è stata ridotta a soli tre mesi nel corso dell’anno : è questa una evidente discriminante più volte evidenziata in seno al CGIE.
Tralasciamo, per carità di Patria, richiamare il disastroso discorso pensionistico. Si tratta di tante gocce, che alla fine diventano per molti un peso insormontabile, per tutti costituiscono il segno di un disinteresse diffuso verso le loro problematiche.
Bisogna stare attenti, perché queste ingiuste asimmetrie rischiano di spezzare un legame già difficile da mantenere per i numerosi problemi che l’essere residenti all’estero comporta, condizione quest’ultima che fornisce da sempre all’Italia un valore aggiunto in termini di produzione ed occupazione. Un monito : la strada più facile o più remunerativa nell’immediato non è necessariamente la migliore. La validità di ogni soluzione si vede sul lungo percorso.
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