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Articolo di Franco Santellocco 

G8 di Sea Island: qualcosa é cambiato?


Si sono conclusi i lavori del G8, ed anche quest’anno, i Grandi del mondo hanno trovato tempo e modo di lanciare un nuovo appello evidenziando la situazione disastrosa in cui si trova l’Africa : appelli che, puntualmente, non sono seguiti da fatti, però vengono lanciati per mostrare al mondo di come, in fondo, siamo consapevoli dei problemi dell’Africa. 
Quest’anno, l’approccio è ben diverso dalla retorica vecchia e stantia degli aiuti ai Paesi in via di sviluppo. Sembra che finalmente, i Grandi stiano cominciando a capire che la cooperazione, come pensata fino ad oggi da Governi ed Organizzazioni Internazionali, va completamente rivista. Non è possibile continuare a concepire la cooperazione come invio di denaro e la lotta all’Aids come invio di farmaci, e sperare che questo possa bastare a risolvere tutti i problemi. Una cooperazione che non vuole sporcarsi le mani, è inevitabilmente destinata al fallimento. Perché i problemi dell’Africa vanno capiti prima di essere affrontati, e per capirli bisogna immergersi di persona in questo Continente dilaniato, dove i bambini muoiono a causa di malattie terribili o della fame senza avere nemmeno una possibilità di crescere. 
In una situazione del genere, la cooperazione deve essere prima di tutto intervento diretto per la promozione di quei valori di base di rispetto della dignità umana che spesso mancano, e la cui mancanza rende vano ogni altro tipo di intervento. Ed in questo senso, danno speranza le proposte emerse da questo nuovo G8, nonché un certo cambio di prospettiva di certe Organizzazioni Internazionali.
Sul piano della lotta contro l’Aids, il vero flagello dell’Africa sub-sahariana che da sola registra più del doppio della somma dei malati presenti in ogni altra parte del mondo (25 milioni di persone), sembrano esserci i progressi più promettenti. I Paesi occidentali sembrano volersi impegnare a fondo nello sviluppo di un efficace vaccino contro questo male, attraverso la realizzazione di un “consorzio virtuale” che riunisca gli sforzi di tutte le forze in campo verso una meta comune. E’ un passo importante, cui è seguito un altro importante segnale lanciato da Michel Sidibe, (responsabile di UN-Aids, dipartimento dell’ONU per la lotta a questa malattia), che, dopo un lungo periodo di polemiche, ha riconosciuto l’importanza fondamentale del contributo della Chiesa cattolica nella lotta all’Aids in Africa, dando precise disposizioni al suo Dipartimento per una maggiore collaborazione con gli uffici nazionali della Caritas. Un segnale fondamentale, che permette il riconoscimento degli sforzi e dei sacrifici dei nostri tanti missionari impegnati a portare sollievo e speranza a questo martoriato Continente, e che finalmente evidenzia il valore della prevenzione e della sensibilizzazione a livello locale, prima che del trattamento farmaceutico.
Gli otto Grandi hanno poi approvato altri importanti progetti. Si pensi a quello, molto voluto dall’Italia, teso a facilitare le rimesse degli immigrati verso i loro Paesi d’origine: è un flusso di cento miliardi di euro l’anno su cui pesano costi di trasferimento troppo alti. Quei costi devono essere abbattuti, per dare all’Africa una nuova risorsa e minori costi agli immigrati che lavorano ormai regolarmente in Occidente. 
Infine, si è concordato di assicurare l’assistenza ad una forza di pace africana: 75 mila uomini che dovrebbero svolgere un fondamentale ruolo di peace-keeping per raffreddare situazioni di crisi e violenza nel Continente.
Il vertice di Sea Island, insomma, sembra finalmente aver posto l’attenzione su misure tese ad estirpare le radici dei problemi dell’Africa, piuttosto che sulle solite promesse di aiuto economico sterile e “di stile”. Un cambio di rotta teso a correggere l’inefficienza di un sistema di aiuti che non ha impedito negli scorsi anni la formazione di una cinquantina di Stati fuori controllo, spesso veri centri di terrorismo e guerra, oltre che di povertà. 
Speriamo che questi nuovi programmi e buone intenzioni, adesso, escano dalla fase delle parole e della progettualità ed entrino in quella della realizzazione concreta. Perché il tempo, per l’Africa, sta per scadere.