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Articolo di Franco Santellocco

Dialogo: unica speranza per la pace


In questi giorni, con l’Iraq (nuovo Vietnam ?) e lo Stato d’Israele sempre più messo a ferro e fuoco da un conflitto che sta facendo migliaia di vittime innocenti, sembra che la pace ed un nuovo equilibrio mondiale siano chimere sempre più lontane.
Il Papa ha lanciato un nuovo messaggio di speranza, che rischiara, almeno in parte, una prospettiva davvero buia. Un appello alle tre religioni, ebrei, cristiani e musulmani, per pregare insieme per la pace, attenti a ciò che ci accomuna e non con ciò che ci divide.
E’ un messaggio forte, importante, tanto più che ha portato tre esponenti delle comunità musulmane a partecipare alle celebrazioni, nella Sinagoga di Roma, per il centenario della fondazione.
Segnali come questo è più importanti di tutta la politica, le strumentalizzazioni ed il pacifismo vuoto e non propositivo che subiamo da mesi sulle nostre televisioni.
Perché l’unico modo di risolvere questo conflitto tra culture, lo ribadiamo, è attraverso la strada di un dialogo costruttivo, che ci porti a comprendere quali sono le ragioni degli uni e degli altri. Che ci porti a comprendere quali sono anche i nostri errori e le nostre colpe in quanto sta accadendo. Soltanto così, insieme, potremo forse mettere da parte le nostre divergenze e costruire un domani migliore.
Diversamente, ci avvieremo senza scampo verso l’autodistruzione. Perché se la mettiamo sul piano del conflitto, dello “scontro di civiltà”, non abbiamo nessuna possibilità di vincere.
Come si può battere un nemico che non ha più niente da perdere?
Questa purtroppo è la realtà. Viviamo nelle nostre gabbie dorate, imprigionati dai nostri privilegi, senza renderci conto che per gran parte del mondo la vita è un inferno attuale e senza possibilità di salvezza.
Come possiamo seriamente pensare di costruire un mondo pacifico, senza guerre, mentre in Africa il 90% della popolazione vive in baraccopoli degne soltanto degli incubi peggiori, senza acqua, senza cibo, per non parlare di un minimo di infrastrutture che a noi sembrano essenziali, ed in quei Paesi sono un lusso irraggiungibile per molti?
Come possiamo pretendere di essere al sicuro?
Non può esservi sicurezza, finché c’è una disuguaglianza tanto estrema. 
Ed allora, ecco i conflitti. Ecco le guerre, il terrorismo, il sangue, la morte. Tutto perché non riusciamo, o non vogliamo, vedere la vera causa che sta dietro alle tragedie del nuovo secolo. Dimentichiamo i motivi occasionali: quelli sono specchietti per le allodole. La verità, è che questo è il prezzo che siamo, e che saremo sempre, costretti a pagare per mantenerci arroccati sui nostri privilegi. E l’unico modo per uscire da questa spirale, è quello di sforzarsi di uscire dall’individualismo tipicamente occidentale a cui siamo stati abituati, per comprendere le ragioni ed i problemi di chi è meno fortunato di noi, e per aiutarlo a raggiungere il traguardo di una vita migliore e più sostenibile.
E’ il “Continente Solidale”: il sogno di un’unica, grande realtà che, in un sistema di vasi comunicanti, unisca Europa ed Africa su quel “lago” comune che è il Mar Mediterraneo. Un unico continente, che permetta alle nostre due realtà di intersecarsi per arricchirsi in maniera reciproca. Per dare ad un’Africa ricca di risorse il know-how e l’esperienza per utilizzarle. Per dare ad un’Europa vecchia e stanca nuovo slancio e nuovi traguardi da raggiungere.
E soltanto in questa prospettiva, sarà possibile intervenire anche a livello di Cooperazione allo sviluppo. Perché una cooperazione arida e limitata ad aspetti meramente economici non darà mai alcun risultato sostanziale. Servono idee nuove, adeguate, pensate avendo chiaramente in mente i problemi concreti che questi Paesi tormentati devono affrontare ogni giorno.
Ed ecco allora che bisogna davvero pensare al rilancio di un grande “Piano Marshall per l’Africa”, troppe volte sbandierato ma mai realizzato, nonostante l’impegno testardo di qualche Ministro. Un intervento globale e di lungo periodo per andare ad incidere davvero sui problemi di questo Continente in agonia.
E senza fermarci a questo: si può pensare a meccanismi “de tax” ed energy tax, per colpire l’Occidente nel suo consumismo, e darci così nuovo slancio e valori, mentre al contempo aiuteremmo non poco anche i nostri vicini che soffrono in silenzio e che per troppo tempo abbiamo ignorato.
E proprio questo è e deve essere il “Continente Solidale”. Un’idea che consenta di raggiungere una nuova dimensione della solidarietà: più efficace, più vera, soprattutto meno ipocrita. Ed in questo, è un’idea che nasce per l’Africa, ma si adatta perfettamente alla maggior parte, se non a tutte, le situazioni di disagio e conflitto che stanno martoriando il nostro mondo.
E’ un’idea che molti, in silenzio, portano avanti già da tempo. Ci riferiamo alle associazioni benefiche, ai volontari che lavorano sul campo, ai Padri Comboniani che lavorano negli slum africani e agli altri religiosi in missione in tutto il mondo, ai benefattori privati. Tutte forze di una società civile silenziosa ed operosa che ha capito prima e meglio di molti Governi ed Organizzazioni Internazionali qual è la strada da seguire. Qual’è l’unico modo per cambiare davvero le cose.
E’ una società civile che merita riconoscimento e rispetto, per quanto ha fatto e per quanto continua a fare, spesso a costo di molti sacrifici, alcune volte a costo della vita.
Ma sono sacrifici che portano più frutti di ogni altra iniziativa in tal senso, e che devono ricordare ai nostri governanti di come, se vogliamo, possiamo veramente fare la differenza.
Soltanto noi, il ricco Occidente, abbiamo le chiavi per creare un mondo più equo, e quindi migliore.
Il problema adesso è: avremo la volontà e la forza di cambiare le cose?
Speriamo. Speriamo che i nostri Governi e le Organizzazioni Internazionali capiscano in tempo che è l’unica strada.

25 maggio 2004