News


N

e

w

s

Articolo di Domenico Pisano

Quale avvenire per l’export italiano?

Italiani all’estero, protagonisti del successo del “Made in Italy” nel mondo 

(GRTV) Problema attuale e di urgente soluzione è la grave contrazione che sta subendo l’esportazione italiana in questi anni cosi difficili, per via della profonda crisi internazionale politica, economica, finanziaria e commerciale, che si ripercuote su tutto il sistema globale dei traffici internazionali. 

La globalizzazione, come tutti i fenomeni epocali, insieme a grandi vantaggi ed opportunità sia per i Paesi ricchi che, sia pure in misura minore, per i Paesi poveri, ha innestato un sistema di interdipendenza commerciale che non poteva, come in effetti accade, non portare, durante le crisi, ripercussioni di estrema gravità nelle economie di tutti i Paesi del mondo. 

Ma, mentre le economie dei Paesi a basso reddito non risentono se non minimamente di tali ripercussioni, di minore impatto in sistemi non strutturati le economie più avanzate sono invece oggetto di gravissime conseguenze, proprio a causa del loro sistema cosi complesso e radicato, che accusa immediatamente le contrazioni del mercato, sopratutto in considerazione di un costo del lavoro enormemente più elevato, frutto di un Stato sociale assai più evoluto e garantista. 

Ha ragione Franco Santellocco, Presidente della Commissione del CGIE “Formazione, Impresa, Lavoro e Cooperazione”, quando pone il suo accento sulla crisi che ha colpito l’export del nostro Paese, individuando nei recenti avvenimenti internazionali e nell’impotenza di Istituzioni come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale le concause , e nell’Unione Europea e nel Governo Italiano chi può dare respiro e ripresa alle nostre esportazioni, strumento vitale di sostegno dell’economia italiana. 

Piccola e media impresa italiana sono, come tutti sanno, l’ossatura della nostra economia e la sua parte più sana e produttivamente più valida: è però inconfutabile che, a causa dei suoi elevati oneri di lavoro, i nostri costi di produzione sono sempre enormemente penalizzati in confronto a quelli dei Paesi dell’ Est Asiatico, e, nella prospettiva dell’imminente allargamento dell’Unione Europea, lo saranno, come in effetti già lo sono, nei confronti dei Paesi dell’Est Europeo: là infatti il costo del lavoro è da un terzo ad un decimo minore di quello di qualsiasi impresa italiana. 

Quali quindi i rimedi? Nell’attuale regime di economia di mercato, non è certo immaginabile l’imposizione di dazi protettivi. Ed allora? Come possiamo difenderci dall’invasione di prodotti d’importazione, fabbricati in Paesi che possono applicare prezzi così inferiori ai nostri? Qualcuno sostiene che la nostra qualità superiore è spesso vincente: ciò è vero solo per le fasce di mercato alte o medio alte, ma non certamente per il mercato complessivo che è quello che dà le quantità necessarie ad ottenere volumi di vendita remunerativi. Ed allora? Mentre sul mercato interno è possibile limitare le importazioni dei prodotti provenienti da quei Paesi, rendendo necessari adeguamenti e correzioni tali da permettere a nostre aziende di trarre profitti da tale attività e quindi di adeguare i prezzi finali di vendita a quelli dei prodotti nostrani, o, di limarne il gap, l’esportazione ne risulta assai penalizzata. 

Oggi poi, con l’apprezzamento dell’euro sul dollaro, l’ulteriore penalizzazione che varia dal 20 al 30 per cento, ha inferto un più grave danno alle nostre esportazioni. 

E allora? Un aiuto all’export, sia pure senza violare le norme europee? Ma, in che modo? 

Prima di cercare una risposta ed individuare un qualche correttivo e rimedio, è necessario però fare un ulteriore considerazione, che discende da alcuni mali endemici che affliggono il nostro export: proverò ad elencarli, da vecchio operatore di mercati internazionali. 

Primo: facciamo prodotti troppo “belli”, talvolta addirittura ce ne compiacciamo, pregiudicandoci quindi mercati più ampi; ciò accade specialmente nei prodotti di largo e medio consumo. 

Secondo: non abbiamo, per effetto della nostra mentalità di base di stampo provinciale, un corretto approccio e la giusta aggressività per imporci nei mercati internazionali. 

Terzo: nonostante la buona salute finanziaria complessiva della nostra piccola e media impresa, non abbiamo adeguate risorse finanziarie per affrontare gli ingenti costi che si debbono sostenere per la conquista dei mercati esteri. 

Quarto: abbiamo, purtroppo, una certa propensione a compiacerci sia dei nostri prodotti che di una presunta abilità di introduzione di mercato; per converso, la nostra mentalità di marketing è ancora all’abc, sopratutto se comparata a quella dei nostri più usuali ed agguerriti competitori (americani, giapponesi, tedeschi, francesi, etc.). 

Quinto: pretendiamo spesso, con un atteggiamento ed una propensione che sa molto di presunzione unita ad arroganza, conoscere mercati e mentalità che invece conosciamo solo superficialmente, disattendendo spesso consigli ed operatività dei corrispondenti locali cui ci rivolgiamo, siano essi collaboratori interni od esterni. 

Sesto: non forniamo a chi ci assiste nei mercati tutti i mezzi necessari per inserirvisi, seguendo la vecchia e sorpassata teoria del “questo è il prodotto e chi lo deve vendere si arrangi come può”. Raramente vi sono strategie di introduzione e consolidamento delle quote di mercato eventualmente già conquistate, lasciando molto alla casualità ed all’improvvisazione. 

Ed allora? Certamente il potenziamento della Simest, che sembra finalmente idonea a quell’aiuto essenziale alle nostre medie imprese, sopratutto se viene completato ed integrato il processo di riforma già in atto. Ma una delle chiavi di lettura più importanti è la Sace, se, riformandola ed adeguandola al momento storico che stiamo attraversando, sarà in grado di dare supporto e sostegno vitale ai nostri operatori, così da metterli al riparo dai rischi di credito, includendo in tali rischi non solo quelli derivanti direttamente da possibili insolvenze, ma anche quelli discendenti dall’instabilità dei cambi, con correttivi che solo la copertura assicurativa può fornire. 

Infine, senza mettere mano a protezionismi che sovente, nel medio termine, si rivelano veri e propri boomerang per i Paesi che li adottano, perché non seguire la via alternativa emanando o rinnovando provvidenze legislative come quelle che prevedono aiuti commerciali, sia una tantum che attraverso prestiti a tassi agevolati ed a rimborso differito, per i costi commerciali di introduzione e potenziamento di mercato, ovviamente usando la precauzione di controllare rigidamente l’uso dei fondi concessi nei mercati designati dai singoli progetti approvati? (ciò al fine di evitarne un uso distorto e speculazioni già avvenute in passato da industriali senza scrupoli eccessivi). 

I sistemi per ovviare od attenuare sensibilmente i negativi effetti della crisi in corso e della penalizzazione monetaria derivante dall’apprezzamento dell’euro ci sono: basterebbe prendere atto dell’attuale situazione dell’azienda Italia nel mondo per rilanciarne prodotti e mercati, facendo seguire alle parole che attualmente si sprecano sulla risorsa costituita dagli Italiani all’estero (che sono frequentemente il tramite diretto od indiretto per la diffusione all’estero dei nostri prodotti) fatti concreti per metterli in grado di conseguire e rinverdire i tanti successi già collezionati nei decenni passati, visto che essi sono i principali ed essenziali protagonisti, anche attraverso l’indotto che essi creano, del successo del “Made in Italy” nel mondo. 


 

Domenico Pisano, Coordinatore Azzurri nel Mondo West Usa

 

21 gennaio 2004