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Articolo di Franco Santellocco

Crisi dell’export: quali soluzioni?

La quota dell’export italiano sul commercio mondiale si è ridotta negli ultimi anni del 25 per cento (GRTV) Non è un mistero che ormai da tempo il mondo occidentale è attraversato da una più o meno grave e più o meno latente crisi economica che ne sta minando le auspicate prospettive di sviluppo.
Una crisi che ormai da anni affligge gli Stati Uniti, che ha piegato definitivamente quella che era considerata come la più agguerrita delle “Tigri d’Oriente”: il Giappone, che ha portato la Repubblica Argentina ad un crollo inimmaginabile e che, recentemente, sta minando le economie europee con le conseguenti, gravi polemiche sul mantenimento del “Patto di stabilità” in seno all’Unione.
Crisi dunque. Una crisi senza dubbio aggravata e accelerata dall’esplosione del terrorismo internazionale che ha seguito gli attentati dell’11 Settembre 2001. In questo poco confortante scenario complessivo, anche il nostro Paese è rimasto colpito, con conseguenze estremamente preoccupanti.
In effetti, l’export italiano sta perdendo competitività ormai già da qualche anno, e non sembra che la situazione possa migliorare senza un deciso intervento correttivo.
Dati alla mano, la quota dell’export italiano sul commercio mondiale si è ridotta negli ultimi anni del 25%, segno di una crisi che sta colpendo duramente soprattutto quello che è sempre stato e che deve continuare ad essere il gioiello del nostro sistema economico: le piccole e medie imprese. 
Una situazione di questo genere è insostenibile, ed un intervento effettivo a sostegno della piccola e media imprenditoria italiana dovrebbe essere la prima preoccupazione nell’attuazione di una politica economica realmente interessata ad una ripresa sana ed effettiva del Paese. 
Tanto più che recenti avvenimenti, a partire dalla vicenda Enron fino ad arrivare al recentissimo collasso del gruppo Tanzi, stanno dimostrando la sempre minore affidabilità dei grandi gruppi, concentrati più su redditizie ma instabili operazioni speculative sui mercati finanziari che su programmi di sviluppo di lungo periodo.
Puntare di più sulle piccole e medie imprese, dunque, con interventi di sostegno ormai improrogabili se si vuole evitare un ristagno delle esportazioni ed una perdita di competitività che potrebbero diventare incolmabili. Un intervento tanto più importante se si considera quello spazio privilegiato per i nostri rapporti commerciali che è il Mar Mediterraneo, specialmente riguardo agli investimenti verso i Paesi del Maghreb, nei cui confronti dovremmo essere sempre più interlocutori privilegiati, non soltanto per il nostro sviluppo, ma anche e soprattutto per il loro.
Ma chi deve intervenire e, soprattutto, in che modo? Sul chi, la risposta sembra quasi scontata. Inutile sperare in iniziative anche solo parzialmente risolutive a livello di Organizzazioni Internazionali, oppresse da una profonda crisi d’identità e che senza una riforma drastica rischiano di apparire sempre più come inutili baracconi burocratici con l’unica funzione di provvedere al sostentamento dei propri funzionari.
Anche perché, al di là della crisi ormai lampante di un’ONU sempre più immobile e impotente, sembra che simile destino sia riservato anche ad Enti che più specificamente sarebbero adibiti al benessere economico mondiale. Le Istituzioni di Bretton-Woods, Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale, sono nel pieno di una tragica crisi di credibilità, divenuta drammatica dopo l’infausto destino di quello che era presentato con vanto come il loro “fiore all’occhiello”: la Repubblica Argentina.
Escluse dunque le Organizzazioni internazionali, l’unica speranza concreta per la ripresa dell’export italiano sono l’Unione Europea ed il nostro Governo Nazionale.
Senza dubbio importante il ruolo dell’Europa nella ripresa dell’economia italiana.
In un’Unione sempre più integrata, che si prepara ad aprirsi ad Est, necessariamente il benessere complessivo diventa un presupposto imprescindibile anche per la ripresa delle singole realtà, e quella italiana non fa eccezione.
E’ assolutamente fondamentale, in questo quadro, un rilancio delle economie dei Paesi membri, attraverso proposte innovative che dimostrino la reale presenza e l’efficacia del complessivo meccanismo comunitario.
In quest’ottica, plauso meritano le proposte emerse dall’ultima Conferenza Euro-Mediterranea di Napoli, in particolare per quanto riguarda la ridefinizione del Fondo Euromediterraneo d’investimento e di partenariato, un Fondo della Banca Europea destinato alla promozione degli investimenti nell’area del Maghreb, da sempre terreno di un confronto privilegiato con l’Europa, per la sua posizione storica e geografica, ed in particolare con l’Italia, vero ponte tra i nostri due Continenti.
Di tale Fondo Euromediterraneo, da tempo si auspica un incremento, alla luce dell’importanza che riveste, nell’ottica della cooperazione e della creazione di nuovi posti di lavoro, l’agevolazione degli investimenti del settore privato nei Paesi del Nord Africa, in particolar modo per quanto riguarda le piccole e medie imprese.
Urge, nello stesso quadro, la realizzazione in tempi brevi di quell’area di libero scambio Euro-Mediterranea che potrebbe, finalmente, facilitare in maniera sostanziale le relazioni commerciali tra i nostri rispettivi Paesi e dare una forte spinta per lo sviluppo di quell’area, specie attraverso la creazione di posti di lavoro.
Ma nonostante l’importanza dell’Europa, per la ripresa dell’export italiano restano decisive le mosse che saranno compiute, si spera in tempi brevi, dai nostri governanti nazionali. E’ evidente, infatti, che ci troviamo ormai da tempo di fronte a segnali di avvertimento che lasciano presagire l’esplosione, se non verranno prese delle serie contromisure, di una catastrofica crisi della domanda.
In questo senso, il crollo del nostro export ne è una lampante dimostrazione.
Bisognerà vedere se saremo così ciechi da ignorare questi avvertimenti.
Un ristagno della domanda, è chiaro che non può essere combattuto in altra maniera se non attraverso un deciso potenziamento degli investimenti; ma purtroppo a riguardo sembra che finora si sia parlato molto, ma agito pochissimo.
I lungimiranti interventi strutturali, giustamente presentati nel programma di Governo due anni fa, a causa soprattutto della congiuntura internazionale sfavorevole, bisogna prendere atto che sono rimasti in gran parte inattuati, e bisogna auspicarne in tempi brevi una concreta realizzazione per risollevare l’economia del Paese.
Gli Enti deputati al sostegno delle nostre esportazioni e degli investimenti all’estero, Sace e Simest, sono rimasti a lungo quasi del tutto inutili. Dall’immobilismo che li ha caratterizzati negli ultimi dieci anni, soltanto la Simest, anzi la nuova Simest recentemente riformata, sembra essere uscita, dando segnali di risveglio che danno adito alla speranza. Per quanto riguarda la Sace, purtroppo, il suo sonno immobile è ancora profondo, e non sembra destinata a trasformarsi in qualcosa di utile, almeno in tempi brevi.
Nonostante una riforma che faceva ben sperare, risalente ormai a tre anni fa, e nonostante le molte riunioni sull’argomento, duole constatare che le aspettative degli esportatori sono andate deluse e la nuova operatività è sempre in via di finalizzazione e, per taluni aspetti, non accessibile per la maggior parte degli operatori. Certo, una delibera Cipe di un paio d’anni fa consentirebbe a Sace di emettere garanzie di pagamento in favore di esportatori italiani a copertura di rischi di credito che potrebbero diventare senz’altro uno strumento essenziale per dare finalmente un po’ di respiro alle piccole e medie imprese italiane, che rischiano altrimenti di restare stritolate tra un’economia in fase di ristagno e l’agguerrita concorrenza proveniente dall’Est. Ma, naturalmente, questo come tutti gli altri strumenti di sostegno enumerati vanno prima attivati. E se i nostri governanti hanno a cuore l’economia di questo Paese, vanno attivati in tempi brevi. Perché i venti di crisi si fanno sempre più forti, messaggeri di un possibile crollo della domanda globale di una gravità che il mondo Occidentale non conosce dal 1929. Ci auguriamo che, per una volta, la storia, con i suoi corsi e ricorsi, non venga dimenticata.
 

Franco Santellocco

 

13 gennaio 2004