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A colloquio con l’imprenditore Osvaldo Bonsignori

Solo un fattivo ricambio generazionale nel mondo della ricerca potrà rallentare la fuga all’estero delle nostre menti più valide

Necessaria una maggiore attenzione delle istituzioni verso la complessa realtà delle nostre comunità all’estero

(AIE) Il Nobel recentemente assegnato al fisico Riccardo Giacconi ha confermato ancora una volta l’indiscussa valenza professionale dei tanti ricercatori italiani e di origine italiana che operano con successo in tutto il mondo nei più svariati campi della ricerca scientifica. Un riconoscimento importante quello ricevuto dallo studioso genovese per le sue ricerche sull’emissione cosmiche dei raggi x, che pone ancora una volta in evidenza la preoccupante fuga di “cervelli” che, ormai da molti anni, caratterizza il mondo accademico italiano. Un fenomeno in continua evoluzione, che trova giustificazione anche nella esiguità degli investimenti pubblici messi a disposizione della ricerca universitaria, che verrà approfondito nel corso del prossimo convegno sui ricercatori e gli scienziati italiani all’estero. Un importante appuntamento, fortemente voluto e organizzato dal Ministro per gli Italiani nel Mondo Mirko Tremaglia, che avrà luogo nel marzo del 2003 e al quale è stato invitato anche il Nobel Giacconi.

Per approfondire questa problematica, una complessa realtà che allontana dal nostro Paese le menti migliori e rallenta lo sviluppo scientifico dell’Italia, abbiamo ascoltato la testimonianza dell’imprenditore Osvaldo Bonsignori, scienziato livornese, oggi produttore ed ideatore di strumenti chimici di precisione, che negli anni ‘70 ha lavorato in Svizzera nel campo della ricerca molecolare, presso il prestigioso Politecnico di Zurigo.

 

In occasione della XXVI edizione del premio internazionale “Emigrazione”, una manifestazione organizzata dall’Associazione culturale “La Voce dell’Emigrante” e dal Comune di Pratola Peligna in collaborazione con la Regione Abruzzo ed il Ministero per gli Italiani nel Mondo, Lei ha ricevuto, insieme ad altri sette connazionali,  il premio “Onore al merito”. Ci può illustrare le motivazioni dell’onorificenza?

 

Con questa premiazione si è voluto dare un riconoscimento alle persone che, con la loro attività all’estero, hanno tenuto alto l’onore dell’Italia. Ho ricevuto il riconoscimento per la mia attività di ricercatore nel campo della chimica macromolecolare che ho svolto per cinque anni al Politecnico di Zurigo. Una struttura universitaria di estremo prestigio dove ancora oggi lavorano, non a caso l’ultimo Nobel per la chimica è stato consegnato ad un nostro collega che lavorò in quel periodo al Politecnico, talenti di indiscusso rilievo.

Ormai da molti anni le nostre menti più valide si recano all’estero per portare a compimento i loro studi. Una fuga di “cervelli” che rallenta ed ostacola lo sviluppo della ricerca italiana. Lei che ha vissuto in prima persona questa particolare esperienza professionale cosa può dirci sull’argomento?

Io sono della medesima opinione del Nobel Giacconi e cioè che siamo di fronte ad un problema di tipo sociologico. I cosiddetti “cervelli”, persone che hanno una grande passione per la ricerca, nel nostro Paese si trovano spesso in ambienti di lavoro sovraffollati dalle generazioni più anziane che non lasciano molto spazio ai giovani ricercatori. A quel punto l’estero diviene l’unica strada percorribile per queste persone che sono interessate alla ricerca di un certo livello. Per rimediare alla situazione bisognerebbe dare a tutte le generazioni, che frequentano l’ambiente della ricerca universitaria, la medesima dignità. In poche parole, per creare dei gruppi di ricerca dai trenta ai quarant’anni condotti da “anziani” eccezionali, sarebbero necessari dei nuovi meccanismi finalizzati al ricambio generazionale ed al reale svecchiamento del contesto universitario. Ma in questo ambito bisogna ricordare anche il fatto che la cosiddetta “fuga di cervelli” viene sicuramente favorita dall’alto grado di preparazione dei nostri ricercatori. Dopo aver frequentato un struttura universitaria come quella italiana, dove lo studente di alto livello viene sicuramente valorizzato, il ricercatore che si reca all’estero può infatti trarre dei sicuri vantaggi dal variegato bagaglio culturale acquisito. Una preparazione aperta al ragionamento, alla deduzione e alla logica decisamente diversa dall’applicazione prettamente tecnica della scienza esercitata dai ricercatori stranieri.

Lei ha vissuto per molti anni in Svizzera, una delle principali Nazioni d’accoglienza dove la presenza italiana è ormai divenuta una realtà stanziale. Cosa ricorda di questa esperienza e quale idea si è fatta della “Italia fuori dall’Italia”?

Per quello che ho avuto modo di constatare l’emigrazione italiana si presenta con una marcata connotazione regionale. Un variegato contesto dove la coesione e l’aggregazione sociale delle collettività viene garantita dalle associazioni e dei vari gruppi religiosi. Quella che manca è una costante azione dello Stato che, attraverso il potenziamento delle strutture sociali e dei consolati, dovrebbe favorire una maggiore diffusione nei Paesi d’accoglienza della lingua, della tradizione e della cultura italiana. Inoltre credo che se in passato, quando in Svizzera l’emigrazione superava la soglia del 20%, non abbiamo saputo aiutare i nostri connazionali che partivano per l’estero, oggi sarà per noi difficile capire le reali necessità dei tanti stranieri che ogni giorno giungono in Italia. D’altra parte non penso che le questioni dei nuovi flussi migratori diretti verso l’Italia debbano assumere carattere prioritario rispetto alle problematiche dei nostri connazionali nel mondo.

Dopo decenni di lotta, caratterizzati da cocenti sconfitte ed esaltanti vittorie, i nostri connazionali all’estero potranno finalmente esercitare il pieno diritto di voto. A suo giudizio quali iniziative dovranno essere intraprese per valorizzare al massimo la ricaduta di questa importante conquista politica?

La conquista del pieno diritto di voto è fondamentale. Tutto questo non deve però rimanere avulso da un più ampio discorso promozionale, da effettuarsi anche attraverso le strutture diplomatiche e consolari del MAE, finalizzato alla diffusione nel mondo della cultura, della tecnica e della valenza commerciale italiana. Nell’ambito internazionale, dove la società italiana è nota per le sue eccellenze nel campo dell’automobilismo e della moda, vi è infatti il rischio che passino sotto silenzio i tanti successi, ad esempio nell’ambito della tecnica di alta qualità e di precisione, che caratterizzano il quotidiano italiano.

 

Goffredo Morgia