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CGIE: Relazione di Graziano Tassello, Presidente della Commissione Lingua e Cultura

I Giovani di origine italiana in Europa e in Nord Africa

(AIE) Desidero offrire alcuni spunti sulle giovani generazioni in Europa. Scarsissima è la mia documentazione sui giovani in Nord Africa, per cui domando questa trattazione agli esperti del settore. Il punto della situazione. Interrogativi Uno dei miei primi contatti al CSERPE fu con un laureando della Facoltà di Architettura di Zurigo: un giovane di terza generazione che si prefiggeva di analizzare gli spazi architettonici creati dagli italiani in emigrazione per lasciare traccia del loro passaggio e per far comprendere agli svizzeri quale era lo stile italiano dello stare insieme. L’esigenza era nata dalla proliferazione di caffè di proprietà svizzera che volevano imitare - non sempre con successo, pur costatando che “italiano vende” - una atmosfera italiana. Terze, quarte generazioni in Europa: vi è da parte nostra la voglia di capire e la necessità, quindi, di mettersi in ascolto e di dialogare. Se questo non avvenisse, l’impegno del CGIE e dei Comites e la politica italiana verso le comunità si ridurrebbero a far morire con dignità la prima generazione o a perseguire la difesa di elementi prevalentemente folclorici.

 

Le tipologie

 

Chi sono questi giovani? Le tipologie sono le più varie. Senza entrare nella discussione tra prime, seconde e terze generazioni, ovviamente nel caso della “vecchia” emigrazione italiana verso la Francia (con oltre un secolo di storia migratoria) si deve parlare di figli di oriundi nei cui confronti la politica assimilatoria perseguita dalla Francia ha spesso cancellato numerose tracce di italianità. È soltanto con l’evoluzione in atto in Europa e il desiderio - attualmente messo in discussione da numerosi politici - di una società interculturale che la riscoperta delle proprie radici come momenti di arricchimento vicendevole acquista tutta la sua importanza, dando risalto alle giovani generazioni. Come accennato, la politica migratoria perseguita dai singoli Paesi importatori di manodopera e l’accentuazione della cultura regionale producono generazioni di discendenti di italiani alquanto diversificate tra di loro. Alcune Regioni italiane investono somme considerevoli per “recuperare” l’originalità di partenza. A prescindere dalle buone intenzioni, ritengo questo tipo di linguaggio alquanto inadeguato. I discendenti degli italiani non sono da ricuperare! Vanno percepiti nella loro capacità di creare rete; vanno aiutati ad approfondire certi interrogativi sul significato della loro “italicità”; vanno invitati ad operare in un contesto che dice relazione.

 

Breve sintesi della evoluzione nelle ricerche e nelle strategie

 

Negli anni ‘70 e ‘80 le ricerche portate avanti in Italia sugli ideali e sui valori perseguiti dai giovani trovano un riscontro in simile ricerche portate avanti tra i figli degli italiani in Europa, in Australia e in Nord America (cfr. ad esempio, le numerose ricerche condotte dal CSER, dal CSERPE, dall’ENAIP e dalle Colonie Libere). La Prima Conferenza Nazionale dell’Emigrazione del febbraio 1975 non parla di giovani generazioni. Anche nella documentazione sui principali temi emersi, i giovani sono del tutto ignorati! I contrasti politici sulla gestione e sulla interpretazione da dare al fenomeno che caratterizzano la Conferenza, definita “problema nazionale”, portano a ignorare o stigmatizzare gli oriundi delle Americhe. L’On. Aldo Moro, Presidente del Consiglio dei Ministri, il 24 febbraio dichiara: “Quello che il Governo può promettere è che l’emigrazione non sarà guardata come un fenomeno marginale e fatale di sviluppo economico e sociale del Paese. Il governo si impegna piuttosto a considerare l’emigrazione come “problema nazionale”. Negli Atti si accenna più volte all’insegnamento per i figli dei lavoratori migranti. Aldo Moro afferma: “Vorrei menzionare in particolare il contesto europeo nel quale si fa strada, anche se a fatica, ma sicuramente l’idea di una cittadinanza europea, la qual sia riconosciuta prima che a qualsiasi altri, a questi europei che, anticipando l’amalgama del futuro, vivono già, insieme con i loro figli, in un Paese che non è il loro, ma è certo la loro comunità” (Dal discorso di apertura). Alla fine degli anni ‘70 e negli anni ‘80 si parla con insistenza in Germania di seconde generazioni, descritte, da più parti, come una bomba ad orologeria esplosa nel momento in cui questi giovani si sarebbero affacciati sul mercato del lavoro e si sarebbero accorti che i coetanei tedeschi occupavano un grado più elevato del loro nella scala sociale. Di fatto la bomba non è scoppiata e gli unici veri disastri - da addebitarsi anche a questa emarginazione sul lavoro - sono stati il comportamento anomalo di alcuni (droga, piccola criminalità, delinquenza ecc.: aspetto spesso accantonato ma ben noto ad ogni assistente sociale o volontario impegnato sul fronte dell’emigrazione) e lo scarso impegno ad affrontare le sfide di una generazione “perduta”. In realtà questi giovani hanno dimostrato una notevole capacità di adattamento, puntando qua e là verso il terziario. Ovviamente lo scarso investimento da parte dei genitori in progetti a lungo termine (educazione superiore per i figli) e la preferenza data al guadagno immediato e all’interesse privatistico hanno fatto emergere una generazione molto simile a quella dei genitori, per cui è facile il passaggio ad una scelta di vita priva di idealità comunitarie: il tipico individualismo del post-moderno. Si susseguono intanto gli interventi e le ricerche a livello scolastico. Anche la Seconda Conferenza dell’Emigrazione (28 novembre - 3 dicembre 1988) lascia ai margini le giovani generazioni. Durante quella che viene definita come “Conferenza della maturità” (e lo slogan: “Gli italiani che vivono il mondo” tende a far prevalere l’immagine sul contenuto), superati i conflitti ed imboccata la strada dell’unitarietà, il Sen. Gilberto Bonalumi afferma: “Ci stiamo proiettando verso un futuro prossimo che vedrà concretizzarsi e consolidarsi in una politica nuova perché motivata da una lettura aggiornata e attuale dei progetti, delle aspirazioni, dei bisogni e dei diritti che le nostre comunità all’estero esprimono”.

 

Nel documento finale scorgiamo alcuni flebili segnali che interessano le giovani generazioni:

 

“Tale processo (nel campo dell’integrazione sociale e della partecipazione politica nel Paese di residenza) deve soprattutto svilupparsi nell’attenzione alle esigenze delle giovani generazioni e nel sostegno a politiche di integrazione sociale degli anziani e degli invalidi” (lettera b).

“Per quanto riguarda il vasto settore dell’educazione, della scuola e della formazione professionale...” (lettera e).

Alla terza Commissione era stato assegnato il compito di discutere di “Educazione, scuola, tempo libero. Multiculturalismo in progresso”. Il risultato fu una collezione di raccomandazioni nel campo specifico della educazione e della formazione professionale, ma non si discusse del rapporto tra multiculturalimo e giovani generazioni..

La Sesta Commissione aveva il compito di discutere di: “Antiche radici e nuova immagine degli italiani nel mondo”. Nella relazione si fa cenno a “segnali nuovi per i giovani italiani all’estero”.

Intanto avanza silenziosamente una minoranza di professionisti che tagliano i legami tradizionali con la comunità di origine: stelle solitarie e non comunicanti. Questi giovani sembrano aver paura di “sporcarsi le mani con la comunità”, riprendendo il vezzo di alcuni pseudo-intellettuali che preferiscono dissertare invece di condividere. Andiamo forse verso un  sistema di isole e non di arcipelaghi? Vi sono, ovviamente delle eccezioni! Conosco a Ginevra alcuni giovani scienziati del CERN attivamente coinvolti nella vita della Missione Cattolica Italiana.

Ad aggravare la situazione è anche la mancanza di dialogo reale con l’Italia ed i suoi giovani, impedendo una apertura vicendevole.

Gli anni ‘90 parlano di assestamento e di invisibilità mentre le prime generazioni detengono saldamente quello che viene considerato il “potere” e si mostrano incapaci di gestire la transizione. Se analizzassimo le statistiche, constateremmo come nei Comites e nel CGIE europei ed africani - e non solo- soltanto una minima parte dei membri è al di sotto dei 30 anni.

Sempre di più troviamo giovani presenti a livello universitario, ricercatori nei poli chimici, ecc. Ma la loro attenzione o è rivolta alle cose italiane (cfr. ad es., la raccolta di firme in certe occasioni) oppure l’attenzione è concentrata sulla propria comunità scientifica o professionale. Sembra siano convinti che non possono trarre alcun vantaggio dalla comunità “immigrata”.

Non mi addentro sulla questione dei nomadi intellettuali messi in circolazione dai progetti europei come “Erasmus”, i quali, tuttavia, ignorando - per mancanza di una formazione di base - la storia dell’emigrazione, si riferiscono agli emigrati soltanto come ad eterni pizzaioli o a chiassosi e simpatici  tifosi durante alcune partite di calcio.

Non parlo, inoltre, del grave problema del lavoro nero di molti giovani lavoratori diretti soprattutto verso Germania.

Non parlo, infine, di giovani in pellegrinaggio verso le “isole della felicità” a Londra o Amsterdam.

(Dopo questa mia introduzione generale, i rappresentati dei singoli Paesi si soffermeranno sulle realtà giovanili specifiche locali).

I giovani in Europa e in Nord Africa quale significato danno all’italianità?

La domanda vera che tutti devono porsi è che cosa si intende fare con le giovani generazioni che si interrogano se il loro nome e la matrice italiana di cui sono portatori debbano giocare un ruolo nelle scelte di vita che operano là dove sono nati, hanno studiato o dove esercitano una professione.

Solo una proposta culturale ricca, aperta e continua può fare in modo che il legame con l’Italia, conservato dalle prime generazioni, non s’indebolisca con il passare del tempo, rischiando di spezzarsi. Si tratta di un’operazione che nasce dalla consapevolezza del profondo mutamento che ha subito il concetto stesso di “identità culturale” che, da archetipo statico ancorato ad elementi di tradizione condivisa, è diventato, progressivamente e in modo sempre più accentuato, un’idea complessa e articolata, una frontiera mobile, capace di comprendere le molteplici declinazioni di italianità che si sono realizzate in tempi, strati sociali, forme culturali e situazioni ambientali estremamente diversificate.

a) Verso il Conferenza dei Giovani: presentazione di una proposta

Iter preparatorio in Europa: alla ricerca di piste comuni

Era stata a suo tempo preparata una ipotesi di lavoro suggestiva ed innovativa per la Conferenza dei Giovani  come atto finale del mandato del presente CGIE, con l’intento di affidare ai successori un messaggio carico di speranza e di creatività. Il Segretario Generale del CGIE, Franco Narducci, sta movendosi con determinazione anche in questo ambito.

Il Comitato di Presidenza ha approvato una inchiesta, propedeutica alla Conferenza stessa, che dovrebbe evitare parametri tipicamente italiani, non sempre applicabili al mondo della diaspora. I dati raccolti dovranno offrire una fotografia reale di un mondo che è rimasto nell’ombra negli ultimi anni, concentrando l’attenzione soprattutto su:

Somiglianze e differenziazioni tra giovani italiani, giovani della diaspora ed i loro coetanei

Originalità delle “seconde generazioni”

Canali privilegiati di contatto con il mondo italiano, i contatti reali e possibili

Professionalità

Percezione del concetto di italicità

Valutazione di vecchie e nuove associazioni

Il significato che i giovani danno alla “partecipazione” ed il loro reale coinvolgimento nel campo della solidarietà

La presenza dello Stato e delle regioni: giudizi e aspettative.

Rimane sempre quello di analizzare quali siano gli agganci reali o possibili tra nuove generazioni e giovani italiani per facilitare il dialogo tra Italia e diaspora in un contesto di globalizzazione, superando il pericolo dell’anonimato culturale e della omologazione.

Ritengo che da questa Commissione Continentale dovrebbe emergere la precisa volontà di promuovere la Conferenza dei Giovani come atto conclusivo dell’attuale CGIE. Sarebbe assurdo parlare di politica migratoria se si continuasse a cercare soluzioni a problemi immediati, trascurando di ipotizzare un futuro a medio termine. Cfr. slides predisposte dal Dr. Casagrande (CGIE Australia) e ideate dal Gruppo Giovani della Commissione diretta da Tommasi.

b) Un piano di concertazione: che cosa propongono l’Europa e il Nord Africa per i prossimi mesi in preparazione alla Conferenza?

“Stati generali” nelle singole Nazioni.

 c) Alcuni aspetti legati al mondo giovanile da approfondire mediante lavori di gruppo

c.1. Verso il Servizio civile volontario

La legge 64/01 sulla “Istituzione del Servizio civile nazionale volontario” ha più di un anno. La sua approvazione ha dato un futuro al Servizio civile nel momenti in cui, caduti gli obblighi della leva, si rischiava di perdere un patrimonio di servizi alla persona, alla pace, alla difesa non violenta, alla cultura del Paese.

In questo primo anno di vita, crescente è stato l’interesse nel mondo della scuola e della vita sociale al servizio civile, come concreta occasione di educazione alla pace e alla solidarietà dei giovani. Al tempo stesso sono maturate due nuove prospettive di “servizio” che chiedono l’attenzione della comunità: il Servizio civile all’estero e il Servizio civile femminile.

Il Servizio civile all’estero di giovani, dopo un’adeguata preparazione, è una testimonianza concreta di pace, d’incontro tra giovani di diverse culture e di solidarietà.

Sul piano organizzativo e gestionale importante risulterà l’approvazione del decreto legislativo, che ha avuto la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, con le disposizioni che individuano i soggetti ammessi a prestare volontariamente servizio civile, la definizione delle modalità di accesso, la durata del servizio, il trattamento.

Il decreto in approvazione stabilisce la possibilità di svolgere il Servizio civile volontario di 12 mesi ai giovani, anche stranieri residenti in Italia almeno da tre anni, che hanno un’età compresa tra i 18 e i 28 anni, in Italia, in ambito interregionale e all’estero, per le associazioni e gli enti iscritti a un apposito registro e con un ben definito progetto d’impiego.

Il Decreto prevede anche la possibilità di aspettativa a dipendenti pubblici e di imprese private che desiderano svolgere il Servizio civile, come anche punteggi per pubblici impieghi e il 10% di posti in alcuni concorsi pubblici, il riconoscimento di crediti formativi nelle Scuole e nelle Università.

Un aspetto importante, anche se si auspica una precisazione sul ruolo degli enti e associazioni nazionali, è la formazione di un mese per chi svolgerà il servizio civile volontario, che potrà fornire alcuni elementi di base sugli interventi di protezione civile e un quadro di riferimento per una cittadinanza attiva.

Non abbiamo niente da dire in ambito migratorio?

Quali i settori in ambito migratorio in cui questi giovani potrebbero dedicare l’anno di servizio civile (corsi, ricerca migratoria, patronati, animazione gruppi Terza Età, il disagio giovanile..)?

Quali le nostre proposte concrete ad organismi in Italia perché tengano conto delle nostre domande?

Quale l’input della Commissione del CGIE responsabile di questo settore (renderci garanti che nella nuova legge il campo “diaspora” sia presente esplicitamente)?

c.2. Il disagio giovanile in emigrazione

Occorre che un gruppo di lavoro analizzi le diverse tipologie, esamini i tipi di intervento possibili e studi il coinvolgimento della comunità.

c.3. I giovani protagonisti nel rinnovamento dell’associazionismo

c. 4. Rapporti tra giovani italiani e giovani di origine italiana

Un gruppo di lavoro dovrà esaminare le esperienze in atto, valutarne i risultati e proporre ulteriori piste di lavoro.

 

AIE