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Una riflessione sul conflitto israelo-palestinese

Ricordo Palestina

(AIE) Quasi due decenni fa per più di due anni ho conosciuto le strade di Amman, Beirut, i campi della morte di Sabra e Chatila, Gerusalemme, e ricordo Palestina.

L’ho percorsa in lungo e in largo. E, per una volta, non chiamiamola Cisgiordania, West Bank, Territori Occupati, e nemmeno Giudea o Samaria: chiamiamola semplicemente Palestina, anche se non la si vuole definire nei suoi confini. C’è sempre posto per la speranza. Non può, non deve essere un crimine sperare.

Ma oggi mi chiedo: cosa potrei dire all’ex Rabbino Capo di Roma Elio Toaf con il quale ebbi un cordiale scambio di corrispondenza?

Cosa potrei dire alla proprietaria della casa in cui abitavo, una decisa e agguerrita palestinese cristiana?

Cosa potrei dire a quel bravissimo medico palestinese che ha curato la mia famiglia, e a sua cugina, antiquaria di Amman, persona di profonda cultura e di grande sensibilità?

Ho sempre ritenuto, e continuo a ritenere, che la questione israelo-palestinese sia stata perfettamente sintetizzata molti anni fa dal grande giornalista politico Augusto Guerriero, noto come Ricciardetto, che ne dette questa mirabile definizione: “La cosa tragica, è che hanno ragione tutti e due”. Fu quello che dissi un giorno al consigliere di Abiz Jihad, luogotenente di Arafat, che mi rispose: “Si, dottore, hanno ragione tutti e due, ma la terra è una sola!”

E anche a lui, oggi, cosa potrei dire?

 

Marcantonio Scipione/AIE