News


N

e

w

s

Marcinelle - Intervento di Giuseppe Piccoli, Presidente Comites di Charleroi

 

Prima di dare il mio benvenuto al Ministro Tremaglia leggo il messaggio del Presidente del Senato,, Marcello Pera e del Presidente della Camera, Pierferdinando Casini.

Lei ha voluto, e non ci stupisce, riservare la sua prima visita all'estero a Marcinelle, simbolo del sacrificio di migliaia di cittadini italiani, "liberi - come scrive il poeta Zannier - di essere obbligati di partire".

L'omaggio che Lei, insieme all'imponente delegazione che l'accompagna, vuol rendere alle 262 vittime di Marcinelle, tra le quali più della metà, 136, di nazionalità italiana, è la prova della sensibilità ormai anziana, che senza tinte di strumentalizzazione politica, ha caratterizzato e caratterizza il suo impegno per gli italiani fuori dal territorio nazionale.

Se il Bouis du Cazier di Marcinelle è diventato oggi un monumento consacrato alla memoria, lo dobbiamo in gran parte anche a lei Onorevole. Infatti è bene sapere, per non dimenticarlo, anche per la storia, che il 25 maggio del 1988 avvertito da Padre Gianni Bordignon e Domenico D'Amico, tragicamente scomparso nella sua Torricella Peligna nel 1990, ad appena 55 anni, entrambi fondatori dell'Associazione ex minatori di Marcinelle, venni a conoscenza che sul sito del Bois du Cazier un promotore immobiliare progettava di costruire un supermercato. Denunciai il fatto a Montesilvano alla Conferenza "L'Italia fuori d'Italia". Lei, Onorevole, era presente a questo incontro e volle incontrarmi per saperne di più. Nei giorni successivi intervenne al Parlamento per denunciare questa eventualità, il suo intervento fece un grande scalpore in Belgio e da lì partì un insieme di iniziative tese a salvare il sito che oggi stanno riabilitando per farne un museo ed un centro di vita sociale.

Questo doveva essere detto non solo per fatto di cronaca, ma per far capire a quanti hanno voluto prendere in ostaggio le vittime di Marcinelle, chi è l'uomo che oggi ha voluto per l'ennesima volta recarsi in pellegrinaggio in questo pezzo di terra che è e deve rimanere di tutti coloro che soffrono l'esilio, ivi compresi quelli che oggi cercano di migliorare il loro quotidiano emigrando in Italia e per i quali le chiediamo, Signor Ministro, di intervenire affinché sia riservato ad essi il medesimo trattamento, le medesime condizioni, lo stesso rispetto che Lei ha sempre sollecitato per gli italiani fuori d'Italia.

Onorevole, non abbiamo le stesse sensibilità politiche, ma abbiamo qualche cosa che ci anima entrambi, la volontà di rendere servizio ai nostri connazionali all'estero, la volontà di fare e non solo di parlare. Al linguaggio pomposo ossia "langue de bois" come si dice in francese, lei ha saputo aggiungere il linguaggio del cuore per dare ai suoi interventi anche in seno al CGIE quella dimensione umana che permette di mettersi insieme per trovare quelle proposte e risposte che portano, anche con confronto e scontro democratico, alla soluzione dei problemi che stanno a cuore degli italiani all'estero.

Al chiacchiericcio degli stati maggiori noi vogliamo in sintesi, con semplicità, ricordare quelle che sono le aspettative alle quali vorremmo una volta per tutte sentir rispondere. "questo sì e questo no, e per tale momento".

Le cito:

insegnamento della lingua e la cultura (è ora di finirla con tagli continui);

assunzione del personale in loco (no alla privatizzazione);

possibilità di votare senza essere obbligati di spostarsi;

il passaporto;

trovare un sistema d'informazione permanente e centralizzato sui posti di lavoro disponibili in Italia (questo per i nostri figli o nipoti che vorrebbero ritornare);

anziani;

riduzione dell'Ici (prima casa):

criptaggio dei programmi tv della Rai.

Aspettiamo, signor Ministro, che per la prima volta ci sia presentato un vero programma che possa spazzare via ogni incertezza, ogni perplessità ed arrivare quindi con il CGIE ed il sostegno dei presidenti dei Comites a definire impegni e scalette precise. Sono decine di anni che giacciono in Parlamento proposte di legge a favore delle comunità italiane all'estero e nonostante i nostri continui solleciti, le nostre proposte concrete e i nostri incontri, tutto è fermo, siamo come suor Anna che aspetta e non vede nulla arrivare.

In questi ultimi mesi qualche cosa di concreto ci ha portato l'Europa, la partecipazione al voto comunale, reso obbligatorio in tutti i Paesi dell'Unione, altrimenti qui staremmo ancora ad aspettare, e in questa occasione molti nostri connazionali hanno posto un atto di cittadinanza candidandosi. Questo equivale ad una dichiarata volontà di volersi occupare del bene degli altri, infatti se si vuol migliorare la società bisogna passare anche per questa tappa. Ci auguriamo però che essi vivano con passione il loro nuovo ruolo per far da contrappeso a carrieristi e opportunisti interessati solo dal potere del guadagno e da un nepotismo esasperante: e ce ne sono in tutti i partiti.

Ma accanto a questo momento particolare dobbiamo aggiungere che la comunità italiana all'estero è riuscita a darsi delle strutture, delle proprie rappresentanze istituzionali, che hanno portato e portano avanti le loro battaglie. Queste istituzioni devono essere rispettate, aiutate ed ascoltate, solo così l'Italia potrà utilizzare pienamente quel capitale umano disperso nel mondo che costituisce e rappresenta un'immensa ricchezza, una delle sue migliori risorse, non da sfruttare come sono stati sfruttati i nostri padri e i nostri nonni, ma da valorizzare. Ma questo oggi non avviene: i Comites vengono ignorati, nella parte francofona del Belgio è stata negoziata una nuova charte du partenariate per l'insegnamento della lingua e cultura italiana e nessuno ne è stato informato. I Comites ed altre istituzioni come i Coascit vengono messi in difficoltà a causa di finanziamenti o contributi che arrivano con dei vergognosi ritardi.

La legge di modifica dei Comites dorme in Parlamento da più di quattro anni e, come per la legge 205, temiamo stia subendo bagni di detergenti più o meno forti per cui, quando poi finalmente sarà approvata, cadrà in un campo di cittadini delusi, di cittadini che avevano, nel 1986, accolto con entusiasmo la prima occasione data loro di partecipare direttamente alla scelta dei loro rappresentanti ma che, man mano, con un assenteismo sempre più vasto rinunciano al loro ruolo. Ridare dinamismo ai Comites vuol dire dar loro anche dei poteri che siano vincolanti. Questo non per diminuire i poteri dei Consoli, o degli Ambasciatori o per entrare in conflitto con loro, ma per cercare occasioni di dialogo costruttivo, di scelte fatte in comune, di partecipazione democratica a tutto ciò che porta l'impronta Italia.

I Comites non vogliono usurpare nulla ai rappresentanti dello Stato all'estero, ma vogliono essere riconosciuti come i rappresentanti di quella parte d'Italia fuori d'Italia, con poteri reali, non solo di consigliare o di coordinare, ma anche con poteri decisionali e di operatività organizzativa sussidiaria alle attività già svolte, e con competenza, dalle associazioni, siano esse nazionali, regionali o provinciali.

C'è poi il CGIE, dimensione fondamentale e indispensabile alla realizzazione delle politiche che rispondono ai desideri degli italiani; è il cordone ombelicale tra i cittadini fuori d'Italia e quelli che a nome loro gestiscono il presente e il futuro dello Stato. Il CGIE dovrebbe avere gli stessi poteri del CNEL, invece sta diventando una cassa di risonanza dove si ripetono sempre le stesse cose, dove dei tribuni parlano per il piacere di sentirsi parlare ed intanto i problemi reali rimangono irrisolti.

Uno dei modi per rendere il CGIE più dinamico e più responsabile verso i cittadini è, secondo me, quello di modificare la maniera di scelta dei suoi componenti. Questi non dovrebbero più essere eletti con elezioni di secondo grado ma direttamente dai cittadini, per esempio contemporaneamente all'elezione dei membri dei Comites.

Ci sono altri aspetti di partecipazione attiva alla vita del nostro Paese che non possiamo lasciare da parte, come la partecipazione alla vita politica, sociale, economica e culturale delle nostre regioni. Prima di tutto credo che anche qui ci sia bisogno di una maggiore trasparenza, di un maggiore coinvolgimento dei corregionali all'estero. Si assiste, infatti, alla creazione di consulte regionali dell'emigrazione composte da consiglieri che rappresentano i corregionali all'estero ma che sono scelti non si sa come, che rappresentano non si sa chi e che non devono rendere conto a nessuno. L'organizzazione di una consultazione popolare dovrebbe poter essere realizzata affidando, perché no, ai Comites che sono una enorme coalizione a cui partecipano tutte le associazioni, un ruolo in materia, così i Comites potranno essere conosciuti, apprezzati e considerati anche dalle regioni, dalle provincie, dai comuni.

Non posso poi ignorare le leggi regionali che creano differenze tra i cittadini italiani all'estero; necessità quindi di un coordinamento Stato-Regioni-Cgie che serva da strumento regolatore.

Le comunità all'estero, ed in particolare in Belgio, si trovano oggi in un momento in cui due mondi vengono a confronto; una fascia importante di cittadini con la loro storia, le loro tradizioni, i loro problemi irrisolti e un altro tipo di italianità, composta da giovani che cercano di farsi strada all'estero, ma che non rifiuterebbero di realizzarsi anche in Italia sul piano produttivo, sul piano della ricerca scientifica, di attività imprenditoriali. Aiutiamoli offrendo loro delle vere borse di studio da valorizzare in qualsiasi parte del territorio nazionale.

Ci sono poi i giovani della terza, della quarta generazione, comunque discendenti di emigrati italiani che vogliono scoprire le loro origini, annaffiare le loro radici, sono una dimensione importante della nostra comunità ma che si trovano a disagio nelle istituzioni come noi le conosciamo oggi, e che li rende quindi poveri istituzionalmente: una povertà nuova che può derivare dal cattivo funzionamento dei punti di aggregazione aperti nei diversi Paesi di inserimento. Come cambiare rotta, come scoprire il nuovo da realizzare? La Prima Conferenza nazionale dei giovani italiani nel mondo dovrebbe portare delle piste, alimentare delle riflessioni e delle proposte, stiamo attenti però che questo grande incontro non si riduca solo ad imbiancare la facciata, ma porti a delle soluzioni concrete e realizzabili a breve scadenza.

Sappiamo, Signor Ministro, che nemmeno lei possiede le ricette miracolose che possono risolvere tutte le nostre attese, ma le assicuriamo che, nel rispetto del confronto democratico, siamo in maggior parte disponibili per convergenze, collaborazioni, anche momentanee, anche parziali, purché in un orizzonte non troppo lontano si vedano chiare risposte alle nostre richieste.